di Francesco Valerio della Croce, Comitato centrale PCdI
Un referendum per abrogare il JobsAct. Lo ha messo in conto, tra gli strumenti per bloccare la sciagurata controriforma del lavoro varata dal governo Renzi, Maurizio Landini parlando dal palco della grande manifestazione della Fiom-Cgil di sabato scorso. Il PCdI ne ha parlato a Roma martedì 24 marzo scorso, in una conferenza nazionale dal titolo “Contro il JobsAct” e con alcune righe di contorno eloquenti sul progetto politico che i comunisti intendono mettere in campo: estendere le lotte sui territori, unire la sinistra, sostenere il referendum. Grande è stata la partecipazione, approfondito e franco il dibattito.
L’apertura affidata alla relazione di Piergiovanni Alleva, giurista della Fiom-Cgil e consigliere regionale emiliano per l’Altra Emilia Romagna, ha posto a sistema la discussione sulla riforma del lavoro: se, da un lato, Alleva ha messo l’accento sulla precarizzazione a tempo indeterminato attraverso la liberalizzazione dei licenziamenti e l’eliminazione persino della possibilità del reintegro da parte del giudice per i licenziamenti per motivo oggettivo, il giuslavorista ha anche evidenziato un tratto della riforma che rischia di passare sotto silenzio e che invece rappresenta una delle sue sfumature più nere e pericolose:
a fronte di una sterminata moltitudine di rapporti di lavoro precario oggi esistenti in Italia ed in larga parte caratterizzati da vizi evidenti in seno agli stessi contratti stipulati, i quali, secondo la disciplina previgente, nel caso di un’impugnazione vittoriosa sarebbero convertiti in contratti a tempo determinato , il JobsAct in sostanza si presenterebbe come un’ enorme sanatoria, un “condono” teso a precludere la trasformazione di quei contratti di lavoro e a precludere l’esercizio di un diritto da parte dei lavoratori precari. Accadrebbe che, una volta esauriti il periodo del rapporto precario, all’atto del rinnovo col nuovo contratto a tutele “crescenti” (sic!) verrebbe ad applicarsi il nuovo regime con la preclusione dell’impugnazione.
Ma oltre al danno arriva la beffa: il governo Renzi ha provveduto con la fine dell’anno scorso a varare una decontribuzione per le nuove assunzioni (che ad oggi risultano rinnovi di contratti esistenti, altro che “nuove”!) come incentivo all’occupazione. Orbene, stante quanto detto sopra, ci troveremmo nella kafkiana situazione per cui, oltre ad assistere ad una palesemente illegittima “sanatoria”, di per sé caratterizzata dalla più che dubbia costituzionalità, l’INPS si troverebbe a “incentivare” attraverso le sue risorse, cioè i soldi dei cittadini, quest’azione.
Inoltre, Alleva ha posto l’attenzione su un secondo aspetto di illegittimità, vale a dire sulla natura prevalentemente sostitutiva delle nuove assunzioni stipulate con l’entrata in vigore del JobsAct. Oltre a ricordare la definitiva scomparsa del vecchio art. 18 sul fronte dei licenziamenti per motivo oggettivo, si è poi evidenziato la nuova disciplina dei licenziamenti disciplinari per i quali è previsto il reintegro solo rilevando l’insussistenza del fatto “in sé”, senza tener conto di circostanza alcuna. Una formalizzazione ed un incatenamento alla lettera della legge che fa compiere persino alla giurisprudenza molti passi indietro nel tempo, presentando anche qui aspetti problematici di legittimità. Altrettanto falsa, nel corso della relazione, si è dimostrata la favola della “cancellazione” dei contratti precari pre-esistenti, con al contrario il rafforzamento del contratto a termine acausale. Una relazione tecnica densa e particolareggiata nell’analisi, dunque.
Sul versante degli interventi politici dobbiamo constatare un importante fatto: una condivisione di fondo della necessità di costruire una risposta di rigetto di questa riforma e della necessità dello strumento politico dell’unità della sinistra è venuta dai rappresentati politici presenti. Non un’unità pattizia, tra stati maggiori, elettoralistica. Non, insomma, una costruzione fine a sé, ma al contrario lo strumento per dare più forza ad un’alternativa netta a queste politiche. Ne è stato convinto Giorgio Airaudo di Sel che ha evidenziato la necessità di un accumulo di forze e di metodi innovativi per farlo. Lo ha ribadito Stefano Fassina, in un intervento teso anch’esso a mettere a sistema questa riforma: è una strada obbligata, ha detto Fassina, quella della svalutazione interna dei salari, imposta dall’attuale assetto dell’Unione europea, imposta dalla conformazione della moneta comune. La critica, a suo avviso, va dunque estesa in un quadro generale che si estende anche a livello europeo. Parole che sono arrivate non come un fulmine a ciel sereno per un uditorio che ha conosciuto in questi anni l’elaborazione e l’analisi di compagni come Vladimiro Giacchè, segno che una discussione più generale e complessiva sulla UE e sulla moneta unica si è aperta e che i comunisti possono parteciparne a pieno titolo. Fassina ha ammonito a non sottovalutare l’apparato mediatico a disposizione di Renzi che, qualunque strada si deciderà di seguire per continuare l’opposizione al JobsAct, non darà vita facile ai suoi antagonisti. Ne siamo ben consapevoli, conosciamo purtroppo da tempo la funzione servente di buona parte dei nostri media, attraverso i quali, come ebbe a dire il prof. Domenico Losurdo in un suo intervento pubblico, la verità non diventa altro che un moto accidentale nella spirale della menzogna universale.
Tutti gli interventi sono stati accomunati da uno spirito unitario autentico, dettato dalla necessità dei fatti. Lo rinnova anche l’intervento di Ciro D’Alessio, RSA della Fiom nella FIAT di Pomigliano D’Arco, un luogo evocativo, che nel 2008 è stato l’incubatore di quello che tutti oggi chiamano JobsAct. Oggi siamo a sufficiente distanza di tempo per verificare gli esiti di questa sperimentazione: ricattabilità costante degli operai, terrore di finire alla catena di montaggio coi suoi ritmi inumani e con la pausa confinata a fine turno, solitudine diffusa tra i lavoratori che non hanno la possibilità di organizzarsi ed esercitare i loro diritti sindacali e politici (“facciamo politica da una vita” ha ricordato D’Alessio, una risposta eloquente a quanti vorrebbero rappresentare l’esercizio dei diritto come i capricci di alcuni rompiscatole). “Si è perso l’orgoglio di essere pare della classe operaia” ha detto Ciro D’Alessio, parole che si rivolgono proprio a noi, ai militanti impegnati nella ricostruzione del Partito Comunista. Una amara costatazione, che mai deve cedere il posto allo scoramento. Essa è una consapevolezza che deve spingere a migliorare e a moltiplicare la nostra militanza, per passare dalla resistenza alla ribalta. E’ qui che l’operaio di Pomigliano ha richiamato il progetto di Coalizione sociale lanciato dalla FIOM, un progetto ben più ambizioso di una “discesa in politica” di questo o quel dirigente sindacale, ma al contrario il tentativo di costruire un movimento di massa attorno alla classe operaia organizzata nel suo sindacato (sarebbe un ardire rievocare a tal proposito un concetto che è nel nostro corredo teorico come quello gramsciano di “blocco storico”?) che metta in relazione le esperienze più avanzate della nostra società. Può non riguardare anche i comunisti e la sinistra tutta questo progetto?
Come ha affermato dalla presidenza del Convegno il compagno Fosco Giannini, responsabile nazionale del Lavoro di massa del PCdI e tra gli organizzatori dell’iniziativa: “ questo convegno contro il Jobs act parte da due presupposti essenziali: primo, la violenza antisociale, antioperaia e antidemocratica intrinseca al Jobs Act chiede la più vasta unità possibile delle forze di sinistra, sindacali, operaie, intellettuali, di popolo; secondo, il fatto che il Jobs Act sia stato già ratificato per Legge fa correre il rischio serio – anche in virtù della mancanza di una lotta di massa corrispondente a quest’eversivo attacco padronale ispirato dall’Unione europea – che il Jobs Act venga assunto ben presto ( in quanto forma reazionaria sovraordinatrice del “nuovo lavoro” strategicamente destabilizzato e precarizzato) come un dato di fatto ormai ineliminabile. Mentre invece occorre, da subito – è l’obiettivo del PCdI – organizzare ed espandere la lotta in tutti i territori, unire la sinistra in questa lotta e sostenere con vigore, sospingendo innanzitutto FIOM e CGIL, l’idea di un referendum abrogativo di quel vero e proprio orrore sociale che è il Jobs Act del PDR”.
Sulla necessità di ponderare saggiamente la tempistica della proposizione del referendum ha posto l’accento la compagna Roberta Fantozzi, responsabile Lavoro del PRC, anch’ella in linea con un afflato unitario che permea la discussione. Una condivisione di fondo sulla necessità della battaglia politica da costruire contro il JobsAct è venuta anche da Pierpaolo Leonardi, dell’USB, che ha anch’egli richiamato il ruolo regressivo dell’Unione europea e della necessità di un superamento della moneta unica.
Le conclusioni della compagna Lucia Mango, responsabile Lavoro del Partito Comunista d’Italia, hanno espresso la soddisfazione del nostro Partito tutto per la qualità e la quantità della discussione, per i contenuti unitari della discussione e ribadito la necessità del proseguimento della lotta e del rafforzamento della proposta referendaria, pur nella difficoltà di una situazione economica regressiva, di segno nettamente opposto rispetto a quella in cui storicamente i diritti del lavoro sono stati conquistati. Un lotta resa ancor più dura dallo svuotamento della sovranità nazionale operata dalla UE e dai suoi trattati di austerity, in un contesto in cui il conflitto di classe è stato combattuto dal capitale nazionale ed internazionale incessantemente mentre, dall’altro lato della barricata, le classi popolari hanno subito una sconfitta che dura da un trentennio.
Tutto è in movimento dunque, nuove dinamiche unitarie e conflittuali si sono aperte in queste settimane, da ultimo con la grande manifestazione del sindacato di sabato 28 marzo in cui i comunisti hanno partecipato in maniera organizzata, viva e decisa, coi propri giovani della FGCI in prima fila ad aprire lo spezzone comunista come giovani avanguardie che aprono ai tempi nuovi e al futuro. Una manifestazione che ha permesso di dimostrare ai lavoratori tutti che la lotta non è finita e che una battaglia si può perdere ma non combattendola affatto si è condannati alla sconfitta perpetua. Merito di questo va alla FIOM che ha anche avanzato, di concerto con tutta la CGIL, la proposta di un nuovo Statuto dei lavoratori, per incontrare i lavoratori e dare un segno di massa alla nostra lotta, non solo per dire un “No” alla riforma renziana ma per dare al nostro movimento una connotazione offensiva, tesa all’ampliamento dei diritti. Ma la CGIL per prima deve sapere che, per essere di massa, questa lotta non può ignorare la sinistra e l’assenza di un rappresentante della CGIL alla discussione del 24 marzo, motivata con l’inopportunità di partecipare ad un’assemblea con a tema anche l’unità della sinistra, non può confortare a riguardo. Nel nostro paese, così come per l’intero movimento mondiale dei lavoratori vale ancora l’equazione per cui ad una sinistra debole corrispondono meno diritti e meno libertà. Riteniamo quindi legittimamente che sia anche interesse del sindacato che le forze della sinistra si uniscano e si rafforzino, non per un interesse elettoralistico ma per dare più forza e protagonisti alle lotte durissime che in questi anni stiamo combattendo. Sul versante politico la discussione sull’unità della sinistra sta procedendo e si sta diffondendo nella società, diventando patrimonio collettivo di quanti sperano che anche l’Italia possa conoscere una progetto di sinistra unitario e plurale. I comunisti con il loro partito ne dovranno essere parte ed il passaggio da una sinistra “che esclude” ad una sinistra “che discute” è di conforto ed è promettente. Il lavoro di ricostruzione del partito comunista e della sinistra è un lavoro difficile, segnato da anni complicati ma i frutti di un lavoro fatto pancia a terra non tardano ad arrivare. E siamo noi a determinarli, è la nostra intelligenza che è riuscita a portare a discutere attorno allo stesso tavolo tutte le componenti della sinistra intorno alla nostra proposta referendaria, è il nostro approccio unitario che rende oggi fertile il terreno per la riaggregazione della sinistra dispersa, è la nostra coscienza che ci convince della giustezza del progetto del partito comunista come cuore dell’unità della sinistra e del movimento dei lavoratori.
La sfida è dura, ma è nelle nostre corde. E’ nelle possibilità e nelle potenzialità di un partito che vuole superare le miserie dell’oggi perché è l’unico in grado di guardare al futuro, perché è l’unico che pone a fondamento del suo progetto strategico la costruzione di un altro mondo possibile in cui le ingiustizie di oggi non siano altro che un vago ricordo. Il nostro futuro è nelle nostre mani.