“La donna libera dall’uomo, tutti e due liberi dal Capitale” (Camilla Ravera – L’Ordine Nuovo, 1921)
di Marica Guazzora
Nel 1999 l’Organizzazione delle Nazioni Unite ha finalmente deciso di riconoscere il 25 novembre come data ufficiale, facendone il riferimento simbolico della lotta contro la violenza subita dalle donne.
Ricordo sempre con grande rispetto e ammirazione Maria Teresa, Minerva e Patria Mirabal le tre sorelle che non avevano certo la speranza di diventare vere e proprie icone, i simboli della lotta femminile mondiale quando, nel 1960, decisero di sfidare il governo dittatoriale di Truijillo, tentando di visitare i prigionieri politici che questo deteneva nelle proprie carceri. La loro vicenda, snodatasi attraverso l’esperienza della deportazione, dello stupro e infine della morte, inflitta punitivamente dal dittatore di Santo Domingo, è stata infatti ereditata dalla coscienza del movimento femminile internazionale e fin dal 1981 le donne del continente latino-americano e caraibico ricordano ogni 25 novembre, data della morte delle sorelle Mirabal, il loro sacrificio che rilancia il tema della condizione femminile nel mondo.
Ogni 25 novembre ci ritroviamo a rileggere le cose scritte negli anni precedenti per rilevare i passi avanti che abbiamo o non abbiamo fatto. E ogni anno è sempre la stessa storia. Dalla sentenza del 1999 quando “con i jeans lo stupro diventa consenziente” cosa è cambiato nella subcultura machista? Ben poco.
Perché continua ad accadere che in un processo per violenza sessuale la vittima sia trasformata in imputata. Continua ad accadere che l’onore (o il disonore) di una donna dipenda dallo stato dei suoi genitali: “o vergini o puttane”. Continua ad accadere che uno stupro o qualsiasi atto di violenza contro le donne trova una sua giustificazione.
E vogliamo parlare dell’esibizione delle atrocità diffusa dai mass media che continuano a usare in maniera voyeristica e superficiale qualsiasi atto di violenza contro le donne, alimentando la “cultura” dello stupro? Il disprezzo nei confronti delle donne non è ancora stato sradicato: anche in questo momento, in ogni parte del mondo, milioni di donne continuano a subire violenze fuori e dentro casa, spesso in silenzio e in solitudine.
“Se una donna dice NO, è NO”.
Non si tratta solo dei fatti eclatanti che finiscono sui giornali con frequenza preoccupante : stupri o omicidi di mogli, fidanzate, ex, ma di tutti quegli episodi che colpiscono noi donne quotidianamente, in famiglia, sul posto di lavoro, a scuola, per strada. Certamente mai aiutate da mass media. Anzi. Perché per ogni femminicidio c’è la scusa pronta: lui l’amava, lei voleva lasciarlo, lui era tanto una brava persona, era così infelice, così depresso!
No. Non era un depresso, era un lurido bastardo. Occorre prenderne atto. Occorre saperlo scrivere signori giornalisti!
L’ultima nefandezza l’ha fatta il Sole24ore quando ha scritto che una ragazza sequestrata, picchiata, violentata per giorni è diventata nientemeno che l’impedimento al suo carnefice di continuare ad usare il proprio genio negli affari perché è stato arrestato!
Continuiamo a gridarlo nelle piazze, nelle strade del mondo e in tutte le lingue “Non una di meno” “Se toccano una toccano tutte”. Non ci fermiamo.
In ogni parte del mondo i movimenti femministi si mobilitano con quelle parole d’ordine. Sono nati i Centri anti violenza (ma spesso mancano i fondi) e anche qualche associazione di uomini che hanno preso coscienza. Ma sono ancora troppo pochi, perché calpestare i nostri diritti è uno sport maschile.
Non sono solo slogan quelli che ci guidano. Le donne sono state meravigliosamente ribelli in questi anni, hanno lottato e continuano contro ogni prevaricazione.
“Se ci fermiamo noi si ferma il mondo”
Anche le più giovani non si sono fatte scoraggiare dalle mille e mille difficoltà incontrate. L’ennesima umiliazione delle donne è stata scoperta da poco: si tratta di un abominio come il “cimitero dei feti”, ( e succede da vent’anni ormai). Segue il Giardino degli angeli e il Registro dei bambini mai nati! E adesso questo luogo dove campeggia sulla tomba nome e cognome della madre, senza il suo consenso! L’ennesima violenza sulle donne. Ci sono almeno una cinquantina di questi cimiteri in Italia. Come si è potuti arrivare a tanto?
Le giunte leghiste e fasciste attaccano con protervia le conquiste delle donne, accettano e promuovono le oscenità del “movimento per la vita”. Continuano gli attacchi alla legge 194, in Regione Piemonte si attacca la RU486, la pillola del giorno dopo, impedendone la diffusione nei consultori.
Gli obiettori di coscienza crescono in maniera esponenziale in ogni regione eppure la soluzione è semplice: se non vuoi fare il ginecologo scegli un’altra specializzazione! Ovviamente praticare aborti clandestini rende di più.
Noi non vogliamo che le donne tornino a morire di aborto! Abbiamo lottato per questo, perché le nuove generazioni non debbano patire ciò che abbiamo patito noi, costrette ad aborti clandestini, nelle mani delle “mammane” e dei “cucchiai d’oro”.
Certo anche il virus e la convivenza quotidiana e forzata, non hanno aiutato le donne perché la violenza degli uomini contro le donne non ha classe né confini. E le guerre che hanno dilagato in ogni parte del mondo, armate da Usa, Nato, Israele, Turchia, Ue, hanno magari anche forme nuove, diverse da quelle che conoscevamo, ma lo stupro è ancora e sempre una potente schifosa arma di guerra e allora dobbiamo continuare a dirlo, a gridarlo, se necessario, “Non una di più/Ni una más/!”
In Polonia, sono state le imponenti manifestazioni delle donne (e uomini) che hanno fermato, almeno per il momento, la traduzione in legge della sentenza della Corte Costituzionale che vietava l’aborto in qualsiasi caso, anche in presenza di malformazioni. Il governo di destra guidato da Mateusz Morawiecki (occorre conoscere i nomi dei nostri aguzzini) ha dovuto fermarsi.
I dati Istat sono sempre più allarmanti (lo diciamo ogni anno) ma è inutile sciorinare numeri di violenze, di stupri, di femminicidi se la cultura è questa. Se non si fanno passi avanti, se ogni scusa serve a giustificare la violenza maschile sulle donne.
Persino a parola “femminicidio” è stata a lungo osteggiata dai media, e non solo. Il termine femmicidio (femicide) è stato diffuso per la prima volta da Diana Russell che, nel 1992, nel libro Femicide: The Politics of woman killing, attraverso l’utilizzo di questa nuova categoria criminologica, molto tempo prima di avere a disposizione le indagini statistiche che ci confermano ancora oggi questo dato, “nomina” la causa principale degli omicidi nei confronti delle donne: una violenza estrema da parte dell’uomo contro la donna “perché donna”.
Ogni forma di violenza perpetrata nei confronti della donna è femminicidio. Non si viola solo il corpo, si viola la dignità, si calpesta la persona. E’ il predominio del maschio. E’ il sopruso del più forte nei confronti del più debole, che non si manifesta solo in questo campo. Le violenze degli uomini contro le donne non hanno passaporto: i violenti non hanno nazionalità. La violenza sulle donne è un fenomeno che non ha altra identità se non quella di genere maschile.
Ci sarebbe molto da dire anche su sanità pubblica e lavoro, perché c’è violenza di genere ovunque, ma non tutto può essere riassunto qui.
Non solo il 25 novembre ma ogni giorno dobbiamo rinnovare le nostre forze e con un grande NO dare testimonianza del nostro rifiuto alla violenza familiare, agli stupri, ai maltrattamenti, ai sequestri, agli abusi, alla molestia sessuale, al machismo, al sessismo, al fascismo, al razzismo e a tutte le aggressioni che violano i diritti umani basilari, i diritti sessuali, i diritti riproduttivi.
E’ una fatica grande, ma continueremo questa lotta per riuscire a vivere in uguaglianza di diritto, in uguaglianza di opportunità e in uguaglianza di genere. La soluzione? Proviamoci con una società anticapitalista, internazionalista e comunista.