I dieci principali insegnamenti dell’attacco furtivo di Hamas contro Israele.

di Andrew Korybko

da https://korybko.substack.com

Traduzione di Marco Pondrelli per Marx21.it

Durante il fine settimana Hamas ha lanciato un attacco furtivo senza precedenti contro Israele, che ha colto completamente di sorpresa il sedicente Stato ebraico dopo che tutti i suoi sistemi di sicurezza hanno inaspettatamente fallito nello stesso momento. Il muro di confine è stato violato, alcune basi militari sono state catturate e decine di ostaggi sono stati portati a Gaza. Israele ha risposto lanciando attacchi aerei all’interno della Striscia e preparando un’operazione di terra. Ecco i 10 punti di tutto ciò che è accaduto finora nell’ultima guerra tra Israele e Hamas:

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1. La presunta invincibilità di Israele è stata smentita come un’illusione

Per cominciare, nessuno si illude più che Israele sia invincibile. Fino all’attacco di sorpresa di questo fine settimana, alcuni avevano continuato a sostenere che le sue capacità tecnico-militari convenzionali e i massicci aiuti americani ne facessero l’egemone regionale, ma questa percezione è stata appena infranta.

2. Era totalmente impreparato alle tattiche di guerra ibrida di Hamas

Con la violazione del muro di confine, risultato di un colossale errore di intelligence e del conseguente collasso di tutti i sistemi di sicurezza, Israele ha dimostrato di essere totalmente impreparato a contrastare le tattiche di guerra ibrida di Hamas, con assalti fulminei di squadre e rudimentali attacchi di droni.

3. Le lotte politiche hanno probabilmente contribuito a questo fallimento dell’intelligence

Se i servizi militari e di intelligence israeliani non fossero stati coinvolti nella disputa politica sulle riforme giudiziarie pianificate da Netanyahu, esacerbata dall’intromissione dell’amministrazione Biden come spiegato qui, avrebbero potuto individuare in anticipo i piani di Hamas e quindi essere in grado di sventarli.

4. Non ha aiutato nemmeno il fatto che le spie statunitensi siano distratte con l’Ucraina

Israele deve assumersi la piena responsabilità dei suoi fallimenti di intelligence, ma non ha aiutato nemmeno il fatto che le spie del suo alleato americano siano state distratte dall’Ucraina. Se non fossero state così concentrate su quel conflitto, avrebbero potuto tenere almeno un satellite su Gaza che avrebbe potuto scoprire l’accumulo militare di Hamas.

5. L’America si trova ora in un dilemma su chi deve ricevere gli aiuti militari finiti

Business Insider ha attirato l’attenzione sul nuovo dilemma dell’America se dare gli aiuti militari, in particolare proiettili di artiglieria, all’Ucraina come previsto o se invece reindirizzare queste risorse a Israele. La decisione potrebbe avere importanti implicazioni per entrambi i conflitti, poiché la scelta tra i due è a somma zero.

6. L’Arabia Saudita probabilmente congelerà i colloqui di pace con Israele

L’Arabia Saudita è sottoposta a forti pressioni da parte della comunità musulmana internazionale affinché congeli i colloqui di pace con Israele dopo gli attacchi di quest’ultimo contro obiettivi civili a Gaza. Probabilmente si adeguerà a queste richieste, il che rovinerebbe i piani dell’amministrazione Biden per un accordo prima delle elezioni.

7. Anche il megaprogetto IMEC sarà probabilmente messo in ghiaccio per qualche tempo

Il Corridoio economico India-Medio Oriente-Europa (IMEC) non potrà essere completato se l’Arabia Saudita e/o soprattutto la Giordania congeleranno il loro ruolo nella sua costruzione per protestare contro il coinvolgimento di Israele nell’ultimo conflitto, anche se questo non danneggerà gli scambi commerciali dell’India con nessuna delle parti interessate, poiché si svolgono interamente via mare.

8. Le dichiarazioni equilibrate di Russia e Cina hanno sorpreso alcuni osservatori

Molti nella comunità degli Alt-Media pensavano erroneamente che la Russia e la Cina favorissero la Palestina, per cui le dichiarazioni equilibrate di queste due nazioni, qui e qui, li hanno sorpresi. Ancora meno sanno che il Presidente Putin sostiene pienamente l’IDF, come dimostrato dalle sue dichiarazioni ufficiali nel corso degli anni, documentate qui.

9. Si è riaperto il dibattito sulla giustificazione dei fini e dei mezzi

L’uccisione da parte di Hamas di coloni-civili addestrati dall’IDF e il rapimento di bambini, donne e anziani per scambiarli con prigionieri sono stati giustificati da alcuni sostenitori palestinesi come mezzi legittimi per perseguire la liberazione nazionale, mentre altri sostenitori hanno criticato queste tattiche per aver minato la moralità della loro causa.

10. Hezbollah è il jolly dell’ultima guerra tra Israele e Hamas

L’attacco furtivo di Hamas contro Israele ha fatto rivivere uno dei peggiori incubi di quest’ultimo, che potrebbe diventare ancora più grave se Hezbollah decidesse di iniziare ostilità su larga scala. In tal caso, il Libano e forse anche la Siria potrebbero essere trascinati nella mischia, che potrebbe facilmente diventare esistenziale per tutte le parti.

Tutto ciò che è accaduto finora ha aperto gli occhi a tutti. La reputazione dei servizi di sicurezza israeliani è andata in frantumi, quella di Hamas non è mai stata migliore agli occhi della maggior parte degli osservatori non occidentali, e molti tra questi ultimi hanno finalmente imparato che né la Russia né la Cina favoriscono la Palestina. Se l’ultimo conflitto dovesse prolungarsi, per non parlare dell’espansione in un conflitto regionale, c’è la possibilità concreta che gli Stati Uniti congelino il conflitto ucraino per reindirizzare gli aiuti militari finiti a Israele.

Palestina, la resistenza di un popolo dimenticato.

https://www.sinistra.ch/

Gli accordi di Oslo del 1993 avrebbero dovuto far nascere una nazione che non è mai nata. Di più, vi sono a Gaza due milioni di donne e uomini trattati come bestie, chiusi in 350 chilometri quadrati, privati di cibo, medicinali, acqua, elettricità. Un normale frigorifero non è immaginabile in quella porzione di Mediterraneo visitata nel 1959 da Ernesto Che Guevara, di cui oggi a Cuba ricorre il 56° della scomparsa, ricordata il 9 ottobre nel resto del mondo. La rivista “Internazionale” in uno degli ultimi numeri ha documentato come sia ordinaria quotidianità vedere un colono israeliano uccidere un palestinese, un altro palestinese rispondere tirando una pietra e l’esercito intervenire per arrestare chi ha tirato il sasso, lasciando libero l’assassino.

Ai palestinesi, dimenticati dentro le gabbie e i recinti dei muri, edificati per farne un popolo privo di patria e di passaporto, in questi anni di frenetiche trattative per costruire un Medioriente di pace, poco è rimasto anche della solidarietà delle nazioni musulmane, solo Siria e Iran, due nazioni messe all’indice dall’Occidente, hanno continuato a porre il problema della situazione palestinese, ovviamente inascoltate, solo gli sciiti libanesi di Hezbollah hanno manifestato a più riprese la solidarietà con il popolo palestinese, senza dubbi e senza esitazioni.

Le petromonarchie, al pari della Giordania e di molte altre nazioni della Lega Araba, hanno preferito seguire Washington tra affari e dimenticanze, relegando la solidarietà con la Palestina a qualche frase retorica in conclusione di discorsi noiosi e ammuffiti, privi di reale concretezza.

Alle donne e agli uomini di un popolo dimenticato è rimasto il silenzio del dolore, insieme al silenzio della loro resistenza, fatta, dopo l’ultima sollevazione, l’ultima Intifada di otto anni fa, di pianto e di disperazione, rinnovati ogni giorno, davanti all’ennesima casa abbattuta, all’ennesimo ulivo secolare sradicato, all’ennesimo ragazzo ucciso, nel generale oblio delle ragioni di un popolo, quello palestinese, da parte del resto dell’umanità.

Israele, la Lega Araba, le petromonarchie, Washington e Bruxelles impediscono da quasi venti anni, era il 2006, elezioni parlamentari e presidenziali per il popolo palestinese. In Occidente la retorica democratica è sempre viva e vivace, ma che in Palestina, con la pesante complicità israeliana, ci sia una generazione di ventenni a cui non è mai stata data in mano una scheda non è risultato di interesse per la comunità internazionale.

Immaginare che insieme al silenzio i cuori dei palestinesi si fossero rassegnanti alla violenza e alla sottomissione è stato, come i fatti di queste ore stanno dimostrando, ingenuo e totalmente errato.

Da mesi le voci più avvedute e preoccupate avevano segnalato che dimenticare la Palestina, le sue donne e i suoi uomini, inseguendo le diatribe tra giustizia e governo israeliano, quasi che queste potessero essere il solo tema d’interesse proveniente da Gerusalemme, voleva dire chiudere gli occhi sulla violenza perpetrata contro i palestinesi e la necessità, nonostante tutto, se non di una soluzione, almeno di qualche progresso in una situazione da troppo tempo incancrenitasi.

Oggi la stampa occidentale titola in un solo coro e a nove colonne: “Attacco a Israele”, “Forza Israele”, “Fermiamo le bestie di Hamas” e tanti altri titoli anche peggiori, facendo come sempre confusione tra ebraismo e sionismo, perché la lingua, la cultura e la religione ebraica sono patrimonio dell’umanità, lo stato israeliano orientato da anni a un feroce e spietato sionismo è tutta un’altra realtà.

Tra l’altro nessuno evidenzia la sproporzione tra un popolo – quello palestinese – che abbatte muri con camionette e badili e attacca con parapendii e pietre e dall’altra parte l’esercito israeliano tra i meglio equipaggiati con le armi più moderne, nonché tra i meglio addestrati del mondo.

Sangue e morte portano sempre dolore e meglio sarebbe che non ci fossero, tuttavia solo degli sprovveduti avrebbero potuto immaginare che i palestinesi non rispondessero militarmente alla violenza della condizione a cui sono costretti, non avendo altro strumento e altra voce per poterlo fare.

I prossimi giorni ci diranno quanto potrà durare questo conflitto, capace di inserirsi in una più vasta insofferenza globale per l’imperialismo, l’unipolarismo, il neocolonialismo.

Mentre su Gaza una gragnuola di bombe israeliane, nella solita sproporzione aggressiva, uccide e distrugge, distrugge e uccide, a Tel Aviv il primo ministro Netanyahu e il suo governo, composto da ministri che usano normalmente la scimitarra per girare lo zucchero nel caffè e invocano a tutte le ore del giorno e della notte, con poco rispetto pure per lo shabbat ebraico, la guerra contro tutto il resto del Medioriente, devono decidere se incamminarsi verso un dialogo interno e internazionale, che al momento appare del tutto difficile se non impossibile, oppure trascinare gli attuali eventi fino a che si riducano alla solita ordinaria violenza contro i palestinesi, tollerata disgraziatamente dall’Occidente, o infine avviarsi verso lo scenario più pericoloso di un conflitto, invocato da molti ministri di quel governo, apertamente dichiarato e praticato contro il Libano, la Siria e l’Iran, uno scontro dagli esiti e dalle proporzioni al momento incerte e inimmaginabili, ma sicuramente di portata devastante.

È auspicio che Russia, Cina e le altre nazioni orientate all’edificazione di un mondo multipolare e di pace provino a intervenire diplomaticamente, una mediazione difficile, anche in ragione delle risoluzioni delle Nazioni Unite dimenticate, ignorate e inapplicate da tre quarti di secolo, ma forse la sola mediazione con qualche speranza di successo, visto anche il nuovo posizionamento internazionale dei sauditi. Tuttavia, se a Washington qualcuno ha deciso di fare del Medioriente un altro degli scenari della sempre più vasta e dirompente guerra mondiale, nessuna mediazione e nessuna proposta di soluzione pacifica potrà avere successo.

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