A colloquio con i ricercatori marxisti della Chinese Academy of Social Sciences (CASS)

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di Francesco Maringiò

Attraverso tre interviste a dirigenti ed intellettuali della CASS emergono i nodi nevralgici del confronto con la dimensione intellettuale e politica cinese. Questi punti non solo ci permettono di decodificare meglio quel mondo e farcelo conoscere più a fondo, ma aiutano a far affiorare alla mente importanti domande e spunti di riflessioni imprescindibili, anche per i marxisti occidentali.

Presentiamo qui tre stimolanti interviste ad altrettanti autorevoli dirigenti ed intellettuali cinesi afferenti all’Accademia Cinese delle Scienze Sociali (CASS). Due di esse sono state realizzate durante un lungo soggiorno di studio a Pechino, mentre la terza è un estratto dei passaggi più significativi di una lunga intervista che il professor Deng Chundong ha rilasciato nel 2015 e che è stata pubblicata su International Critical Thought, rivista internazionale della CASS, edita da Routledge. Si tratta, comunque, di un saggio inedito per il pubblico italiano.

L’Accademia Cinese delle Scienze Sociali è una struttura importante e prestigiosa: nella sola Pechino, in questa accademia prendono il dottorato di ricerca circa 700 studenti all’anno, alcuni dei quali ricopriranno ruoli apicali nel Partito comunista o nelle istituzioni del paese. Ma la CASS, con i suoi dipartimenti e le sue strutture presenti su tutto il territorio cinese, è soprattutto un importante pensatoio (la rivista Foreign Policyla colloca ai vertici dei think tank di tutta l’Asia) per le discipline umanistiche e le scienze sociali, ed è inoltre affiliata al Consiglio di Stato, la massima autorità amministrativa della Repubblica Popolare Cinese. Questo significa che i dipartimenti e le accademie interne alla CASS, svolgono ricerche e studi per il governo ed i vari ministeri.

Questi tre contributi sono, assieme, uno straordinario spaccato della vitalità del dibattito teorico ed intellettuale cinese ed una guida che può aiutare il lettore ad acquisire strumenti analitici e chiavi di lettura per rendere più intellegibile il dibattito politico cinese. Proprio per questo motivo, sono contributi di eccezionale interesse e siamo grati agli autori, oltre che per la loro disponibilità, anche per l’apporto intellettuale e l’interesse ad un confronto fruttuoso con i marxisti del nostro paese.

Ogni intervista è riprodotta in doppia lingua: l’inglese (idioma originale delle interviste) e la sua traduzione italiana.

La prima intervista che proponiamo è quella al professor Cheng Enfu, Direttore della Divisione Accademica degli Studi Marxisti della CASS e supervisore della scuola di dottorato dell’Accademia del Marxismo dell’Università di Finanza ed Economia di Shanghai. È un contributo di grande rilievo, perché ci permette di scorgere immediatamente l’importanza, per i dirigenti cinesi, del lungo processo di apprendimento del socialismo con caratteristiche cinesi: cosa ha imparato, sussunto o accantonato dalle altre esperienze di edificazione socialista, in particolare da quelle europee (Jugoslavia, Ungheria, Urss, …). Non solo: questo intervento colpisce essenzialmente per non essere affatto reticente anche sugli aspetti più controversi e sulle difficoltà dell’esperienza cinese. Anzi: i problemi vengono esposti ed analizzati chiaramente, richiamando il rischio di una eccessiva polarizzazione della società e il pericolo di perdita di influenza per il Pcc, soprattutto nel caso in cui non si continuasse a perseguire una critica incessante del neoliberismo. È proprio il progresso e lo sviluppo del paese ad opera del Partito che spinge alla nascita e allo sviluppo del potere politico di gruppi che si oppongono all’egemonia del Pcc. Cheng, per evitare che in Cina si ripeta tragicamente quanto già accaduto in Unione Sovietica, propone di imparare dalla storia ed attuare scelte che impediscano questo esito nefasto.

È interessante pure notare come il professor Cheng esprima in maniera franca e rigorosa il suo punto di vista su un tema cruciale come è quello del ruolo del mercato e del governo nell’allocazione delle risorse, argomento che è stato al centro del dibattito della terza sessione plenaria del 18º Comitato Centrale del Pcc. Vi è per ultima, ma non per questo meno importante, la lettura che viene data del progetto della Nuova Via della Seta, che non è solo un piano infrastrutturale o una strategia di uscita dalla crisi – come scorgiamo nitidamente in Occidente –, ma assume il volto di una iniziativa di «edificazione globale del socialismo con caratteristiche cinesi», quindi una mastodontica operazione di soft power con la quale i comunisti cinesi contribuiscono al rafforzamento e allo sviluppo del movimento comunista a livello internazionale.

La seconda intervista, invece, è al professor Deng Chundong, ricercatore e decano dell’Accademia del Marxismo, presso l’Accademia Cinese delle Scienze Sociali, i cui interessi di ricerca si concentrano prevalentemente sulla teoria del socialismo con caratteristiche cinesi. Il pubblico italiano ha avuto modo di conoscerlo in virtù del fatto che il professor Deng è stato il principale artefice delle edizioni del Forum Internazionale sulla Via Cinese che si sono tenute a Roma (oltre che in Germania, Francia e Spagna) dal 2014 al 2016, co-organizzate dalla CASS, dall’Associazione Marx XXI e dalle edizioni MarxVentuno.

Il cuore dell’intervista è sul “sogno cinese”, espressione usata per la prima volta dal Presidente Xi Jinping durante un discorso al Museo Nazionale cinese nel 2012, appena dopo essere stato eletto Segretario del Partito. Tuttavia, questo concetto ha radici profonde: Xi, infatti, innesta il “sogno cinese” contemporaneo nella lunga (e travagliata) storia della Cina, consapevole che, dopo il 1949, esso assume un valore importante. Perché se «il pensiero di Mao Zedong ha mostrato la direzione per l’indipendenza nazionale cinese ed ha posto le basi per la fondazione del sistema socialista, il Socialismo con caratteristiche cinesi ha mostrato la direzione per la prosperità della nazione», e allora, ribadisce Deng, «noi dobbiamo continuare ad avere fiducia nelle nostre teorie, nella nostra strada e nelle nostre istituzioni».

Ma il “sogno cinese” è anche l’orizzonte ideale verso il quale si dirige la Cina moderna. Le riforme intraprese dopo il 18º Congresso segnano le tappe di questo percorso e prendono corpo attraverso le innovazioni dei “due obiettivi centenari”, dei “quattro comprensivi”, etc. La lettura di questa intervista è utile perché ci accompagna per mano lungo le novità politiche cinesi, aiutando anche il lettore meno navigato a collocare in una prospettiva più ampia obiettivi quali: “generale costruzione di una società moderatamente prospera”, “completo approfondimento della riforma”, “attuazione integrale dello stato di diritto” e “completo rafforzamento della disciplina di partito”.

Visto che anche Obama ha fatto riferimento nei suoi discorsi al “sogno americano”, viene giustamente rivolta a Deng la domanda circa la coincidenza tra questo ed il “sogno cinese”; e Deng sottolinea come, trattandosi di due grandi nazioni, i due “sogni” abbiano indubbiamente dei punti in comune, ma, al contempo, egli sostiene quanto sia necessario mettere in luce le differenze, perché, «diversamente dal Sogno Americano, che evidenzia le battaglie ed i successi dell’individuo», quello cinese declama «il collettivismo ed il nocciolo dei valori socialisti» e afferma il «legame tra il destino individuale e quello della nazione», senza sottacere il fatto che il “sogno americano” sfida la pace mondiale.

Infine, nella realizzazione del “sogno cinese”, si presta grande attenzione a come debbano essere informate le relazioni internazionali, che, certo, non possono aderire ad un unico modello universale. Al contrario. L’intellettuale marxista cinese ribadisce come sia un compito prioritario quello di «sostenere il principio che tutti i paesi, siano essi grandi o piccoli, forti o deboli, ricchi o poveri, abbiano uguali diritti, sostenere l’equità e la giustizia e opporsi alla prepotenza sui deboli da parte dei più forti e all’oppressione dei poveri da parte dei ricchi», perché «la pace nel mondo, lo sviluppo nazionale, il progresso sociale, la prosperità economica ed una vita migliore, sono le prerogative condivise dalle persone di tutto il mondo».

L’ultima intervista, infine, è quella alla professoressa Lv Weizhou, Direttrice del Dipartimento del Movimento Comunista Internazionale all’Accademia del Marxismo presso la CASS.

Questo scambio di idee è di estremo interesse, perché ci guida nella conoscenza dell’Accademia del Marxismo, della sua strutturazione e dei cambiamenti in corso negli anni. Colpisce come questi abbiano ridisegnato la fisionomia del Dipartimento, spingendo verso un approccio interconnesso delle discipline ed uno studio comparato tra socialismo con caratteristiche cinesi e altre esperienze socialiste internazionali, così come tra socialismo e capitalismo. Sulla scorta della elaborazione dialettica di Marx ed Engels e delle riflessioni e della pratica di Lenin dopo la vittoriosa rivoluzione d’Ottobre – in particolare la NEP [1] – si è appreso come sia importante per le esperienze di transizione al socialismo attingere dalle acquisizioni e dalle conquiste universali del capitalismo ed integrarle nel proprio sistema. Per questo, oltre ad indagare il Movimento comunista contemporaneo, i ricercatori cinesi volgono la loro attenzione anche allo studio del capitalismo contemporaneo.

La conversazione con questa autorevole dirigente della CASS è utile anche per conoscere l’interpretazione che gli intellettuali ed i dirigenti cinesi danno del crollo dell’Unione Sovietica (da loro sempre nominato usando l’espressione: “i drastici cambiamenti in Urss”). Perché, mentre in Occidente si tende a far passare l’assioma in base al quale la sconfitta dell’Urss comporta l’impossibilità assoluta di praticare vie alternative al capitalismo, in Cina questa tesi non viene accettata. Anche se il socialismo sta vivendo una fase di grandi difficoltà, esso rappresenta – ci dice l’intellettuale cinese – il futuro. Ella esplora allora il rapporto tra le esperienze dei comunisti al potere con i movimenti comunisti all’opposizione nei rispettivi paesi, svelandone la natura dialettica: il rafforzamento delle esperienze nei paesi socialisti può contribuire allo sviluppo delle organizzazioni comuniste che non hanno ancora una forza consistente, ma, allo stesso tempo, le loro divisioni ed i conflitti interni hanno ripercussioni negative sull’intero movimento comunista internazionale.

Infine, pensando alle difficoltà che vivono i partiti comunisti in questa fase storica e alla problematicità nel costruire esperienze unitarie e luoghi di confronto permanenti, la Direttrice Lv invita a coniugare (proprio come avviene nell’esperienza cinese) saldezza ideologica con flessibilità tattica, anche perché «alleanza non è sinonimo di “unanimismo”», invitando pertanto a lavorare per porre al centro gli aspetti che uniscono, invece di esacerbare i punti che dividono.

Si è detto più volte (cfr. gli articoli della rivista MarxVentuno e del sito marx21.it) che il confronto e la conoscenza più approfondita del marxismo cinese e dell’esperienza storica del socialismo con caratteristiche cinesi, costituiscono un dato imprescindibile. E proprio in questi tempi, in cui i giornali italiani riportano continuamente notizie che giungono dalla Cina o che riguardano il suo protagonismo (economico innanzi tutto, ma anche culturale e diplomatico) in Italia e in Europa, è essenziale ricorrere alle fonti culturali ed ideologiche che stanno alla base delle politiche di questo grande paese.

Le tre interviste che seguono aiutano a dotarsi di alcune chiavi di lettura essenziali in questo percorso di apprendimento. Ed è appropriandosi di una lettura critica e più fedele ai processi in corso che è possibile collocare la vicenda cinese nella più ampia storia del movimento comunista e del tentativo di edificazione di uno stato socialista, del cui primo tentativo storico – quello che ha avuto avvio con la Rivoluzione d’Ottobre – celebriamo quest’anno il centenario.

[1] Cfr. in proposito l’attualissima e utilissima antologia di scritti di Lenin dopo la rivoluzione d’Ottobre, Economia della rivoluzione, con ampia introduzione e note di Vladimiro Giacché, il Saggiatore, Milano, 2017.

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