di Nicoletta Dentico
In diversi paesi si continua a vivere come nulla fosse. La tensione tra diritto alla salute ed economia è all’origine dei due diversi approcci nella gestione della crisi. Solo l’onda d’urto del Covid-19 ha fatto capire il valore del Ssn, bene comune che il mondo ci invidia. Non possiamo farci illusioni. Covid19 è più vicino a noi di quanto si possa immaginare. Lo raccontano le molte storie di persone contagiate, ricoverate in ospedale, decedute in poche settimane. Lo raccontano le storie dei potenziali positivi che non saranno mai diagnosticati, perché il sistema sanitario non ce la fa a sostenere la strategia del tampone per tutte le persone più a rischio.
Questa vicenda prima o poi finirà, ma intanto ci costringe a ripensare tutto. Dopo l’attacco terroristico alle Torri Gemelle del 2001 e la crisi finanziaria del 2008, la guerra contro questo virus invisibile e così contagioso – un minuscolo pacchetto di RNA avvolto da una capsula di proteine – è il terzo evento, dall’inizio del millennio, a ribaltare la storia, a scompigliare ogni certezza, a tramortire le nostre vite. Certo le epidemie, ci ricorda Walter Scheidel nella sua ampia disamina sulla disuguaglianza [1], sono tra gli eventi con maggiore potenza di trasformazione della storia umana.
Niente di nuovo sotto il cielo, quindi. Ma noi non abbiamo ancora fatto tesoro delle lezioni del passato, neppure quello recente. Dall’inizio del millennio non è la prima volta che un virus animale della classe dei coronavirus fa il cosiddetto salto di specie. Era avvenuto con la SARS in Cina tra 2002 e 2003, con la MERS in Arabia Saudita e Giordania nel 2012. Altri salti di specie hanno messo alle strette la comunità internazionale con l’influenza suina nel 2009 (H1N1), l’influenza aviaria nel 2013 e nel 2017 (H7N9), altri micidiali patogeni come Zika ed Ebola (quest’ultimo ancora operoso in Africa).
Gli esperti dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) lo andavano dicendo da tempo che una pandemia tipo la grande influenza del 1918 (la Spagnola, per intendersi) non era un’ipotesi di scuola, ma solo una questione di tempo. Adesso nella crisi ci siamo dentro, e che una pandemia tipo la grande influenza del 1918 (la Spagnola, per intendersi) non era un’ipotesi di scuola, ma solo una questione di tempo. Adesso nella crisi ci siamo dentro, e Covid19 ha tutta l’aria di essere il patogeno che la comunità scientifica stava aspettando. Primo, perché uccide gli adulti in salute e le persone anziane con problemi pregressi. I dati dicono che la mortalità globale del Covid19 (al 10 marzo) sta intorno al 3,4%, dunque maggiore del 2% della Spagnola. Inoltre il virus ha un tasso esponenziale di trasmissione: una persona infetta in media contagia 2-3 altre persone. L’efficienza del contagio riguarda ancha persone asintomatiche, pre-sintomatiche, o paucisintomatiche (con pochi sintomi) [2]. Questo significa che Covid19 è molto più arduo da contenere della SARS, che veniva trasmessa più lentamente e solo da pazienti sintomatici. Covid19 ha già causato 10 volte più casi della SARS in un quarto del tempo [3].
Quando la marea dell’emergenza si sarà ritirata, non sapremo più riconoscere il paesaggio. Ma nelle riflessioni che accompagnano il diffondersi di Covid19 possiamo verificare diverse ipotesi della politica, che dalla globalizzazione arrivano agli effetti di casa nostra. Provo a proporne alcune:
La triste geopolitica dell’emergenza
Potremmo partire facendo il paragone su come il mondo si prepara alla guerra e a combattere i virus. La NATO, ad esempio, ha una Forza di intervento rapido che fa continuamente esercitazioni per verificare tutti gli aspetti di un’eventuale operazione – logistica, approvvigionamento di viveri e benzina, lingua operativa, le frequenze radio, et.
Non esiste niente di tutto questo nella lotta alle pandemie. L’ultima seria simulazione di una pandemia negli Stati Uniti, il Dark Winter Exercise, si è tenuta nel 2001. Finalmente, tra mille accortezze geopolitiche, l’Oms ha dichiarato lo stato di pandemia. Le condizioni di diffusione geografica su scala mondiale e di diffusione da contagi secondari, necessarie a riconoscere la pandemia (non basta un focolaio primario), esistevano da tempo. Era assolutamente necessario che l’agenzia lanciasse un segnale di allarme. Soprattutto per quei governi, perlopiù occidentali, che in nome dei mercati o per opportunismo politico continuano a sottovalutare la forza di diffusione di Covid19, dichiarano in ritardo l’emergenza, oppure la nascondono.
L’iniziale preoccupazione del direttore generale dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyeus sulla poca cooperazione tra stati è solo confermata, a quasi due mesi dall’inizio della mobilitazione sul virus. Contravvenendo ai vincoli previsti dal Regolamento Sanitario Internazionale del 2005 (adottato dall’Oms dopo la SARS con lo scopo di migliorare la capacità del mondo nel prevenire e contenere le malattie), la cooperazione internazionale tra governi ha lasciato il campo al sovranismo sanitario, quando non all’inazione, a fronte delle incognite del Covid19.
A partire dall’Europa, maggior focolaio di contagio. In diversi paesi europei si continua a vivere come se nulla fosse. In Germania le scuole sono chiuse dal 16 marzo, l’identificazione dei casi avviene solo dalla fine di febbraio, mentre gli unici segnali d’allarme vengono dal lancio di prestiti illimitati fino a 550 miliardi di euro e dal decreto che introduce il divieto di export dei dispositivi di protezione: guanti, mascherine, occhiali, tute. Provvedimento che è costato alla Germania una procedura di infrazione da parte della Commissione europea. La Francia dal canto suo ha deciso di confiscare tutto il materiale di protezione, impedendo ai produttori la libera vendita: una misura che potrebbe causare un vero e proprio bando all’export. La Danimarca e i paesi del gruppo di Visegrad hanno blindato le frontiere al resto del mondo mentre l’Inghilterra, con la scusa dell’immunità di gregge, si affida a una strana forma di selezione naturale della specie e permette al Covid19 di scorrazzare liberamente.
Dopo giorni di ostinato diniego, gli USA hanno dichiarato lo stato di emergenza, ma Trump vieta agli stati di ricorrere al programma federale Medicaid per rispondere alla crisi, attacca il Centre for Disease Control and Prevention (CDC) per aver evidenziato l’inefficiente approccio di prevenzione. Intanto, il panico derivante dalla difficoltà di accesso ai test, e dalla loro inaffidabilità, dimostra la profonda inadeguatezza del sistema sanitario privatistico che si vuole imporre al mondo. Di fatto nessun paese, ad eccezione dell’India, si è preparato con anticipo all’emergenza in arrivo.Insomma, noi umani siamo una sconfinata prateria di conquista da parte del virus, ma siamo soprattutto un esercito scomposto, arrogante, impreparato, diviso. Si tratta di un fallimento globale con esiti disastrosi. Intanto, al contrario della Nato, tutte le strutture dell’Oms create per promuovere un sistema di allerta e risposta immediata sono prive di fondi e dotate di pochissimo personale.
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