1) Scritti sparsi

In occasione del Centenario del Partito Comunista Italiano inizio oggi a riportare degli Scritti sparsi del compagno Alfredo Schiavi, classe 1926, che gode ottima salute in quel di Sanremo, ridente cittadina di mare conosciuta ai più per il famoso Festival della Canzone Italiana. Ho conosciuto Alfredo Schiavi ai tempi del PCI, (quello di Gramsci Togliatti Longo e Berlinguer).

Era famosissimo tra noi comunisti/e per i cartelli che scriveva e dipingeva per ogni occasione e continua a farlo. Se andate sulla sua pagina di facebook lo trovate ancora lì, sempre intento a dipingerne di nuovi. Questi racconti non avranno una sequenza logica, li pubblico così come li trovo e non so nemmeno in quale data sono stati scritti, alcuni sono riportati su facebook, altri me li ha forniti l’autore. I titoli sono una pura invenzione mia. La Redazione

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Siam partigiani”… vestiti da prete

Il foglietto che ci passò il parroco della chiesa di sant…… di Novi Ligure era chiarissimo. Eliminare la postazione all’ingresso del piccolo campo di aviazione gestito dai soldati della Lutwaffe. Non gli occupanti, ma la postazione. “Erasmo” ed io “Oremus”, ci interrogammo. L’unica cosa da fare è di notte questo compito quando all’interno erano in pochi o solo uno, al limite. Ci si portammo a Cassano Spinola per recuperare candelotti di dinamite e micce in un luogo indicatoci dal parroco. Tutto questo lo facemmo in abito talare (immaginate il Don Camillo di Guareschi in bicicletta da donna). Erasmo era nato a Crema ed ex seminarista… ed il latino lo sapeva bene. II mio latino era alla Don Abbondio… recuperato come chierichetto per 3 anni agli Artigianelli di Pavia. Stola bianca su veste nera talare Erasmo, ed io come un chierichetto porta turibolo e messale. Decidiamo la notte. Si parte a mezzanotte in bici. Io bici da uomo ed Erasmo da donna. La ruota davanti di Erasmo e senza palmer. Il percorso era fiorito di imprecazioni (ed altro) di Erasmo, mentre pedalava. Arriviamo in dato luogo in cui ci aspetta un nostro informatore pratico della zona ed armato di Sten, fucile mitragliatore. Depositiamo le bici in una baracca dismessa, e via con lui a fare da battistrada. Erasmo ha sulle spalle un piccolo zaino contenente una dozzina di candelotti di dinamite. La miccia era avvolta al suo corpo sotto l’abito talare. Il compagno di appoggio ci porta, tramite una roggia con pochissima acqua nel cui lato stradale aveva erbacce alte una trentina circa di centimetri, a circa 12 metri dalla postazione in muratura con porta e finestrella e grate e luce accesa all’interno della stessa. Stiamo preparandoci all’azione quando notiamo la porta gracchiante della postazione aprirsi ed un fascio di luce irrompere sulla strada. Un fischiettio ci colse l’udito e continuava venendo vero di noi. Nel frattempo noi due eravamo già distesi sulla scoscesa breve sponda del fossato che dava sulla strada protetti, per fortuna, dalle erbacce… mentre l’accompagnatore si buttava sul rivolo d’acqua che scorreva ai suoi piedi. Il fischio del tale (tedesco o italiano) continuava appena oltre l’erbaccia proprio alla nostra altezza. Dopo un minuto o più lo stesso fischiettare si allontanò lentamente e sentimmo la porta sbattere. Una occhiata ci rassicurò… Erasmo mi si avvicinò e mi disse che dovevamo andarsene perché non si poteva dare il via all’azione. Lo guardai interrogativamente. Non mi rispose ma si volse verso il compagno ancora steso e gli disse la stessa cosa. Voltammo le spalle al nostro obbiettivo e curvi tenendo sempre un po’ alzati le vesta da Estrema Unzione, ci portammo alle bici e lì Erasmo si tolse lo zainetto e ce lo mostrò. Perdeva liquido umano del tale che zuffolava… I candelotti di dinamite erano persi. Salutammo il compagno ringraziandolo. Prendemmo le bici e via pedalando verso la cantina della parrocchia di sant…… Il parroco si preoccupò dello zainetto, umido ancora, appena arrivati. Questo una notte poco buia ed un pochino nebbiosa… ma radiosa per i tali o il tale che erano ospitati in quella casamatta. Avevo con me una pistola Glisenti 9 lungo e due bombe a mano Shipe inglesi. Erasmo una Beretta ed un coltello a serramanico per tagliare la miccia se occorreva. Gli indumenti religiosi, da noi sfuttatissimi (dateci dal parroco), ci servivano per poter passare agevolmente i posti di blocco… e se c’erano difficoltà, i “morenti” da Estrema Unzione entravano in gioco fingendosi in fin di vita o addolorati se parenti stretti. Questo su accordi precedenti agli stessi prima di ogni nostra uscita dalla parrocchia… tramite il parroco… che si meritò, certamente, un posto d’onore in Paradiso quando fu la sua ora.

Altri compiti in quella zona, fortunatamente erano andati in porto. Una azione a Milano ci fece tribolare per 3 giorni… ma alla fine si concluse con nostra soddisfazione e di chi ci aveva dato l’incarico.

Lina Bazzani, tanta fantasia e tanto coraggio.

Faceva il terzo anno alle Magistrali “Domenico Berti” in via Duchessa Jolanda, angolo piazza Bernini su corso Francia in Torino… e lei, Lina Bazzani, prendeva il tram 1 che partiva da via Moliére (se ben ricordo) e tutte le mattine, in “odore” di scuola, saliva su questo tram all’angolo di via Beaulard sulla direttrice di corso Francia… e, in attesa dell’1, vedeva entrare ed uscire mezzi corazzati e no della Verhmacht e delle SS dall’ingresso principale del parco della Tesoriera. Era l’anno 1944.

L’8 settembre, nel disciogliersi l’esercito italiano, il parco Tesoriera e la sua magnifica villa erano diventati, con i loro 75.000 mq., terra di conquista e sede di comandi vari tedeschi. La Lina abitava al terzo piano di un palazzo proprio a fronte del cancello d’ingresso del parco. Vi abitava con papà e mamma. Io li conobbi nel 1958. Ricordo la cucina che dava sul cortile, la camera sua (figlia unica) a lato e i servizi igienici. Corridoio che separava queste due dalla sala e dalla camera dei genitori con vista sul parco. Un alloggio decoroso quello dei Bazzani. A 400 metri da loro, in piazza Campanella, in una casa d’angolo di 2 piani, quartiere Parella, viveva la famiglia di Luigi Longo con la moglie Teresa Noce ed i tre figli maschi.

Tutti (o no?) sapete chi era Longo, vero? Era una famiglia clandestina all’anagrafe torinese. Solo il vicino Carlo Poncini, proprietario dell’albergo “da Poncin” e pochissimi altri fidati erano al corrente della cosa. I Bazzani erano antifascisti e conoscevano da tempo la famiglia Longo. (Ero amico, oltre che compagno, con Lina, suo marito e l’unica figlia Elsa. Lei, Lina, era l’impiegata amministrativa del negozio di abbigliamento ABT di Renzo Capellaro in corso Montecucco 8, anche lui ex partigiano dal nome “Sandro”). Tutto questo per essere preciso e veritiero… Insomma… Lina si era fatta convincere, tramite un emissario di Longo da lei e dai genitori conosciuto, di custodire documenti riservati legati al movimento partigiano del Canavese e valli di Lanzo. Questo all’insaputa dei genitori, però… Chi avrebbe mai sospettato di una ragazzina? Nemmeno i genitori dovevano saperlo. Cosa escogitò la Lina per nasconderli? Il tavolo di cucina, in legno, aveva le 4 gambe vuote all’interno. Ecco il nascondiglio. Mi disse che al momento di introdurre i documenti, assenti i genitori, le sorse un dubbio… Come avrebbe fatto, dopo averli introdotti, estrarre quelli che finivano all’altezza del piano tavola? Mi disse che per lei la cosa era difficile da sciogliere… ma poi ebbe un lampo di genio “adolescenziale” mi disse… sorridendo. Nell’introdurre i primi documenti, questi li aveva affrancati con una spilla da balia a cui aveva appeso un filo per cucire, allora chiamato refil… sottilissimo, ma robustissimo, che serviva per cucire cuoio. In caso di necessità di consultazione il filo faceva da traino verso il basso. Questa storia di Lina mi commuove ogni volta quando penso a lei. Era molto affezionata alle mie due figlie. Rimasta vedova andò ad abitare in corso Rosselli 127 al 5° piano. Sola. Non mancavo di andarla a trovare ogni tanto quando ero a Torino e poi a Venaria Reale, e di telefonarle, anche. E’ deceduta da poco… e l’ho saputo da una amica di Torino, Paola Bragantini…… che lesse di Lina qui sul mio profilo tempo fa… Una ragazza torinese di soli 17 anni con molta fantasia… e coraggio

Il Festival dell’Unità a Ginevra

Era metà luglio del 1967 e noi della 5.a PCI di Torino pensammo di andare a Ginevra per fare un festival dell’Unità ed anche per solidalizzare col compagno Maurutto Rino (vivente), operaio in una fabbrica, che aveva ricevuto dal governo svizzero un ordine di espulsione dal loro territorio perché era il segretario “comunista” degli operai metalmeccanici ed edili di Ginevra iscritti al Partito Svizzero del Lavoro (un camuffamento per non dire PCI… pensavo i governanti svizzeri). Quello che disturbava maggiormente costoro (svizzeri) era la diffusione dell’Unità domenicale a Ginevra… Città così ricca che, al posto delle cantine era tutto un rifugio atomico funzionante come una città: ospedali, sale di ritrovo, dormitori, cucine, teatri, servizi vari… Partimmo con un pullman da Torino una trentina di noi della 5.a PCI (pagandoci tutto di tasca nostra) per finire a Ginevra passando da Domodossola. Al confine la gendarmeria svizzera ci visionò da capo a fondo… mica poteva mettere le mani sul corpo delle compagne che erano tutte abbastanza “giunoniche”… (capita l’antifona?… Bandiere rosse ed altro. Le Molotov contenevano Nebbiolo e Bonarda di Alba…). Passiamo (l’anno dopo il vs. amico Alfredo ebbe problemi… WANTED… ma il Consolato svizzero di Torino confermò, via telefono, che ero una brava persona, tutta dedita al bene altrui… insomma… ero un attivista della Conferenza di San Vincenzo… la 10 Caritas di allora) ed andiamo in un rifugio atomico, prenotato da Maurutto, sotto la piazza Plain Palais (se non erro) per il sabato e la domenica e le tre notti. Il Festival lo facemmo in un grande Teatro (così ci intimarono) e tutto si svolse bene… Vennero Gerardo Chiaromonte della segreteria nazionale e Giuliano Pajetta responsabile immigrazione PCI nazionale e Renzo Gianotti della segreteria PCI torinese oltre noi 30 più o meno… Il teatro era strapieno di nostri connazionali operai e loro famiglie. Una allegria infinita… e capitò il fatto che ora vi racconto: Franco Cocito (vivente) ed io uscimmo dalla “tana” un pomeriggio per fare una camminata… e capitammo in un bar dove gentilmente chiedemmo due bicchieri d’acqua fresca… Non sia mai detto che un barista ginevrino svizzero dia dell’acqua a due italiani… ci mancherebbe!… Ringraziamo contriti ed usciamo a capo chino… Ma poi lo rialzammo per andare ad acquistare una vasca ovale di plastica blu, sui 20 litri circa, con due manici alla estremità… Cercammo una fontana e la riempimmo… Tornammo al bar ed al barista ginevrino versammo il contenuto della vasca ovale di colore blu con due manici alle estremità sulla sua dignitosa persona oltre che barista… tra lo stupore dei presenti. Tutto questo accompagnato da: “Gli italiani, invece, danno l’acqua agli svizzeri”… a due voci. Polizia ci carica e ci porta al Commissariato. Raccontiamo il fatto ad un 007 il quale si alza dalla sedia, gira attorno alla scrivania e chiede la nostra mano destra. A Ginevra nel 1967 …. 49 anni fa.

Gli insegnamenti di Don Milani

Erano gli anni fine 60 ed inizio 70… Il movimento studentesco bussava alla porta d’Italia chiedendo nuove forme di insegnamento e rifiutava l’affermazione della riforma Gentile del 1922 in cui si sottolineava quello che Giovanni Gentile disse a proposito: “La limitazione delle iscrizioni è propria delle scuole di cultura e risponde alla necessità di mantenere alto il livello di dette scuole chiudendole ai deboli e agli incapaci…”. 70 anni dopo don Lorenzo Milani gli rispondeva: “Voi dite di aver negato la scuola ai cretini ed agli svogliati. Allora sostenete che Dio fa nascere i cretini e gli svogliati nelle case dei più poveri. Ma Dio non fa questi dispetti ai poveri”.

Concetto Marchesi, rettore dell’Università di Padova, così si esprimeva: “Ho sentito dire che la scuola deve formare l’uomo moderno. Io non so che cosa sia quest’uomo moderno. La scuola deve formare l’uomo capace di guardare dentro di sé. A formare l’uomo moderno provvederanno i tempi in cui egli è nato. Ogni uomo è moderno nell’epoca in cui vive”. Perché queste citazioni? Perché, sempre in quegli anni fu rivoluzionato il tipo di insegnamento nelle scuole italiane. Vennero creati i Consigli di Istituto (la cui presidenza spettava ad un genitore). Gli Organi Collegiali… e agli studenti, sia delle elementari e medie e licei, una possibilità di intervento indiretto in questi nuovi organi. Presso la scuola elementare “J. Kennedy” di via Pacchiotti in Torino, la mia seconda figlia Ida era una alunna ed io partecipavo ai Consigli scolastici assiduamente. Il direttore era un certo P…… Un uomo di piccola statura, grassottello e pelato e molto autoritario. Anche coi genitori usava la sua autorità in modo sprezzante, specie nelle assemblee… finchè un giorno decisi di prenderlo in giro davanti al Consiglio d’Istituto.

Eravamo convocati, come genitori, per una di queste assemblee una sera alle 21 presso una delle aule più spaziose. D’accordo con il bidello, mio amico e compagno, andai nell’ora di cena e con pezzi di carbone (i pennarelli giganti non erano ancora stati inventati) scrissi sulla parete retrostante la scrivania dell’insegnante queste tre parole di moda in Italia durante il fascismo: CREDERE OBBEDIRE COMBATTERE in caratteri alti una trentina di centimetri. Una sull’altra come si usava scriverle sui muri delle case italiane… e sotto come firma in corsivo il nome del direttore. Non vi dico le risate che si susseguivano ad ogni ingresso di genitore… sinchè non apparve il malcapitato che nel vedersi additato come autore della scritta a momenti gli veniva un infarto. Uscì dall’aula rosso in viso ed adirato. Seppi che indagò a tutto tondo… ma il silenzio del bidello fu veramente da amico e compagno. Era l’anno 1966.

Continua….

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