continua la Mostra di Delfina Tromboni
Le oche in Campidoglio.
Scrive la Federazione ferrarese del PSIUP (Partito Socialista di Unità Proletaria) al suo responsabile in zona che la manifestazione bondenese del 18 febbraio 1945 ”è andata abbastanza bene” nonostante la “preparazione relativa” e che “il colpo successivo è stato magistrale ed aveva suscitato entusiasmo in tutta la popolazione, ma il rilascio [del Podestà] dopo due giorni ha rovinato tutto, anche l’effetto della manifestazione con conseguenze morali e materiali” che rischiavano di protrarsi nel tempo.E’ il 2 marzo 1945 ed è già stata diffusa l’edizione straordinaria della “Nuova Scintilla”, il periodico clandestino della Federazione provinciale del PCI (Partito Comunista Italiano) che già il 19 febbraio, nel suo 4° numero, aveva titolato: “L’insurrezione nazionale in marcia anche nella nostra Provincia. Le donne di Bondeno scendono in Piazza, occupano il Comune esponendo la bandiera nazionale, tengono comizi protestando contro la fame, il freddo ed il terrore nazi-fascisti”.Occorre aspettare il 4 marzo 1945 perché il periodico della Federazione fascista repubblichina, “Ferrara Repubblicana” si decida a pubblicare un trafiletto che, commentando l’uscita della “Nuova Scintilla”, così commenta: “Leggete le notizie dei fatti di Bondeno. Riderete! Sono tornate le oche in Campidoglio, con una sciocca carnevalata organizzata stupidamente e attuata in modo ancora più sciocco da una quarantina di oche isteriche”.Che a Bondeno fosse successo qualcosa di inaspettato i ferraresi avevano potuto leggerlo anche sul periodico fondato da Italo Balbo, il “Cottiere Padano”, che il 24 febbraio 1945 aveva pubblicato il decreto prefettizio che comminava una multa di lire 500.000 a tutta la popolazione bondenese a causa di “una inconsulta manifestazione di donne che protestavano contro presunte deficienze alimentari”. E’il decreto stesso a specificare che le donne “spinte innanzi da elementi vili che agiscono nell’ombra al soldo dello straniero” provenivano da tutte le frazioni del comune: Montemerlo, Pontispagna, Scortichino, Burana, Gavello, S.Biagio, Ospitale.Le “deficienze alimentari” erano talmente “presunte” che il Questore Ferrante, nella relazione periodica al Ministero del.l’Interno relativa al mese di febbraio, scrive che “la situazione economica provinciale …ha subìto un altro peggioramento… Nel campo delle distribuzioni alimentari si segnala la mancanza assoluta di grassi, che si trovano soltanto a borsa nera e a prezzi esorbitanti. La circolazione monetaria è pletorica e il costo della vita elevato… La popolazione, specie nelle campagne, si va manifestando sempre più avversa alle truppe tedesche, in quanto che, purtroppo, elementi appartenenti alle Forze Armate Germaniche si abbandonano a spogliazioni e violenze di ogni genere in danno dei nostri pacifici concittadini che sono, pertanto, costretti a sopportare ogni sopruso”.Non manca, Ferrante, di scrivere anche della manifestazione e del sequestro del Podestà: “Il 18 febbraio, verso le ore 11, un gruppo di donne provenienti da varie zone del comune di Bondeno fece irruzione nella piazza principale di quel paese e al grido di ‘vogliamo pane, sale, zucchero, lardo, indumenti e scarpe’ penetrò nei locali del Comune arrecando danni ai vari carteggi. Si ritiene che la manifestazione abbia avuto carattere politico. Il giorno appresso, 19 febbraio…fu prelevato dalla propria abitazione il Podestà del paese di Bondeno, il quale, però, la mattina del 21 successivo fu rilasciato… Il 23 agenti di polizia rinvenivano nella città di Ferrara manifestini del Partito comunista riportanti, con favorevole commento, la notizia della dimostrazione”.Ed è nella Conferenza clandestina che il PCI tiene il 17 marzo 1945 che “Il compagno responsabile della zona occidentale della provincia…parla anche del problema delle donne. Dice di avere avvicinati diversi gruppi che vogliono fare, che il tutto sta…di combattere contro certe resistenze di vecchi compagni. Riferisce che con la manifestazione fatta a Bondeno si è avuta l’esperienza per sviluppare ed intensificare tutta una serie di manifestazioni in tutta la provincia…Seguono gli interventi…Il terzo intervento tratta del lavoro per lo sviluppo dei Gruppi di Difesa della Donna…Insiste che la soluzione migliore per mobilitare la donna, è quella di lottare contro le prevenzioni dei vecchi…”E’ infine il Notiziario della GNR (Guardia Nazionale Repubblicana) del 19 marzo 1945 a quantificare non in quaranta, bensì in “un centinaio di donne” all’incirca la partecipazione delle donne bondenesi alla manifestazione del 18 febbraio.

Madri 1.
Matres dolorosae. Una piccola fotografia a fondo pagina: una vecchina vestita a lutto, nera dalla testa ai piedi, di fronte a un manifesto elettorale. “Ho visto guerre, ho visto mio figlio bastonato dai fascisti e gettato in carcere. Per questo ho dato e darò il mio voto ai comunisti”, sono le parole che accompagnano l’immagine. E’ il due giugno 1946, si vota per la Costituente. Una nera mater dolorosa è scelta a simbolo della nuova epoca dalla “Nuova Scintilla”, il giornale della Federazione comunista ferrarese. ( 1946) Chiesa di Santa Maria in Vado, Ferrara, centro storico. Sacrario dei caduti di tutte le guerre. Centinaia di targhette in marmo con i nomi degli uomini morti nelle battaglie risorgimentali, nella prima guerra mondiale, nella guerra di Libia, nella seconda guerra mondiale, nella resistenza. Un grande quadro nella cappella di destra esalta la figura di una Madonna addolorata, di cui si intravedono appena gli occhi sotto un grande velo nero che la avvolge dalla testa ai piedi e che sembra occupare tutto lo spazio davanti al suo figliolo crocefisso. A pochi passi, una statua muliebre dedicata alla vedova di guerra: una donna giovane, china in un gesto di protezione sui due figli bambini, il capo piegato nel dolore, lo stesso sguardo verso il basso della prospiciente Madonna. Un’altra Mater dolorosa (1957). Quello che le accomuna e ciò che potentemente le centinaia di nomi senza qualifica da cui sono circondate trasmettono a chi entra nel memoriale, è l’identico dolore per il figlio morto, che nega alla radice la possibilità di una divisione delle donne fra l’una e l’altra parte in lotta, nelle guerre in genere e in quella civile in particolare. Un manifesto di propaganda di guerra, un classico della Repubblica Sociale Italiana: una vecchia donna, avvolta in uno scialle nero che la copre dalla testa ai piedi, il volto chiuso nella durezza del monito: <<Non tradite mio figlio>>. (1944) I figli non sono della guerra: titolo intenso (e fuorviante) di un cortometraggio del dopoguerra che ha per soggetto una manifestazione di donne nel Ferrarese occupato dai nazifascisti. Donne vestite di nero, molte col capo coperto dal nero fazzoletto delle nostre campagne. Si muovono sulla scena come furibonde, quotidiane Erinni. Soltanto il gesto forte di una giovane ragazza, la mano aperta battuta sul tavolo a dare sostegno alle parole, riconduce l’episodio alla sua realtà storica: un episodio di resistenza. Ma non è quello che il titolo dice e – in ogni caso – non è a quell’atto di resistenza femminile ma al capo partigiano locale che il filmato è dedicato. (anni ‘50)Tratto da: Delfina Tromboni (a cura), “L’idea femminile della libertà. 45 donne raccontano la ‘loro’ Resistenza”, Introduzione a “Con animo di donna. L’esperienza della guerra e della Resistenza. Narrazione e memoria”, Archivio Storico dell’UDI, Ferrara, 1998

Madri 2.
Cinque donne che si stagliano contro un cielo di terracotta in cui si librano bianche colombe. Statue avvolte in classicheggianti pepli dalle mille pieghe mosse dal vento, a cui mancano la suggestione e la forza evocativa del velo o dello scialle nero. Una piega vola alta e dà l’idea di una bandiera. Da altre pieghe escono, a cascata, ovvie eppure improbabili rose. Un braccio alzato indica l’orizzonte, il cielo in cui si staglia un bianco stormo di colombe della pace. Due volti ispirati guardano verso l’alto. Gli altri tre cercano la terra. Nelle loro mani, spighe di grano, grappoli d’uva, un paniere a mo’ di cornucopia. La vita a cui la donna dà origine ha perso il corpo del figlio. Volti trasfigurati senza dolore. La cura della vita senza fatica. Eteree muse prendono il posto delle matres dolorosae. Simili alle figure circonfuse di allori che decorano le pareti del sacrario di Santa Maria in Vado (Anita, monumento <<alle donne, agli uomini caduti nelle lotte per la libertà>>, 1996). Un quadro neo – realista: donne in fuga, a terra ferite, travolte dalla violenza delle brigate nere mandate a disperdere la manifestazione delle donne di Bondeno. Corpi di donne, senza scialli, senza rose, senza mussole, senza sguardi ispirati. Ammasso di corpi in rotta, una sorta di Caporetto delle donne. (Cavallari, anni ‘50) Le parole di un volantino della resistenza ferrarese: <<Donne di tutte le condizioni! Sono le vostre famiglie che vengono distrutte, sono le vostre case che vengono fatte deserte, siete voi stesse che domani, indifese, correte il rischio di essere violentate e trucidate […] per la difesa di tutti i vostri interessi, aiutate e soccorrete i valorosi Patrioti, i figli migliori delle madri italiane>>. (Febbraio 1945)Cartoline postali di propaganda di guerra: giovani madri con i figli piccoli in braccio. Linde e fragili, lo sguardo ispirato volto verso il cielo o chino sul bambino. Asessuate, sublimate nella maternità e nell’attesa. Aspettano i combattenti che, al fronte, combattono per loro e traggono forza dal pensarle a casa, in attesa (1941). L’altra faccia della fiera donna fascista che in una cartolina d’epoca incoraggia e quasi sospinge il milite che parte per le sue imprese certo di tornare – anche per lei – vittorioso (1940 – 45). Donne militanti, votate alla Patria, sazie delle loro funzioni di custodi della casa e dei penati.Certosa di Ferrara, Cella dei Caduti per la libertà. Una donna dal viso stravolto dal dolore, sorregge con il proprio corpo e copre con il manto che le avvolge la testa il figlio morto, una mano a sfiorargli i capelli, ciocche intrecciate come spine. Una <<Pietà partigiana>>, una <<Pietà>> laica. (1941) Madri dolorose, Madonne addolorate, spose violate o violabili, donne sottoposte alla violenza cieca del <<nemico>>, divise solo a volte – nei pezzi di propaganda più spinti – in madri nobili e meno nobili a seconda della scelta di campo del figlio, sublimate dalla maternità in essere o da quella infranta dalla morte, dall’attesa del ritorno del soldato di qualsiasi parte o di un migliore avvenire. In ogni caso, donne indifese, le cui sorti dipendono da quelle degli uomini in guerra, si tratti del fronte canonico o di quello spazialmente indefinibile della resistenza. Donne, anche, che possono trarre forza dal terribile frangente in cui sono state costrette e ribellarsi sulle piazze durante l’occupazione nazifascista o con il voto dopo la liberazione. Forse è soltanto in questi ultimi casi che si può intravvedere quella politicizzazione del <<rapporto delle donne>>, del <<femminile>> con la dimensione della morte, ovvero – più specificatamente – con il lutto per la morte dell’uomo – figlio” di cui parla Ernesto Galli della Loggia a partire dalle riflessioni di Nicole Loraux nel suo Le madri in lutto. Tratto da: Delfina Tromboni (a cura), “L’idea femminile della libertà. 45 donne raccontano la ‘loro’ Resistenza”, Introduzione a “Con animo di donna. L’esperienza della guerra e della Resistenza. Narrazione e memoria”, Archivio Storico dell’UDI, Ferrara, 1998.
