di Mauro Alboresi responsabile nazionale organizzazione PCdI
La riforma dell’attuale assetto del Senato della Repubblica, dichiaratamente finalizzata al superamento del cosiddetto bicameralismo perfetto, perseguita con grande determinazione dal governo Renzi, all’insegna di quel fare, sottolineato come tratto distintivo del proprio operato, che spesso prescinde dal merito, sicuramente dai bisogni reali della gran parte della popolazione, è in dirittura d’arrivo.
Come sottolineato da tempo dagli organi di stampa e di informazione la questione, nel merito, è ormai ridotta alle sole modalità di elezione dei pochi senatori che resteranno, con compiti assai discutibili ( per più di un osservatore tali da giustificare più di un dubbio circa la loro utilità).
Su tale questione, come noto, si confrontano, forse sarebbe meglio dire si scontrano, maggioranza e minoranza del PD, forze di governo e di opposizione, e si prospettano i possibili scenari al momento del voto in aula.
La questione della eleggibilità o meno del nuovo Senato della Repubblica è ovviamente importante,ma non è quella decisiva, la posizione di chi la sostiene, in particolare la minoranza PD, merita attenzione, ma è tardiva e, qualora, nonostante tutto, si affermasse, non cambia la questione di fondo.
Il rischio è quello di guardare al dito e non alla luna.
La riforma che si prospetta è sbagliata, il suo rapporto, ineludibile, con la nuova legge elettorale, il cosiddetto Italicum, recentemente approvata dal Parlamento e che entrerà in vigore il 1 Luglio 2016, è tale da prefigurare un assetto dei poteri nel nostro Paese assai preoccupante, da uomo solo al comando.
E’ evidente il sussistere in Italia di una questione democratica ed è questa la questione che va affrontata.
Tale riforma è sbagliata, nel merito per le ragioni sottolineate, sul piano del metodo perché pur essendo costituzionale è perseguita a colpi di maggioranza, peraltro risicata, con buona pace di quel “le regole del gioco vanno definite assieme”strumentalmente a suo tempo sottolineato dallo stesso Renzi.
Dire che a seguito del cosiddetto “Patto del Nazzareno” vi era la condivisione del centrodestra, oggi venuta meno per molteplici ragioni, altro non evidenzia che la pervicace volontà di esautorare il Parlamento delle proprie prerogative, un approccio palese nella gestione dell’attuale governo che ha già fatto ricorso a 43 voti di fiducia.
Le modifiche proposte alla Costituzione, alla forma dello Stato, attraverso la modifica del Senato, che si somma al venire meno delle Province, non sul piano delle funzioni, che permangono, né su quello dei costi, modesti, ma a suo tempo strumentalizzati a sostegno della tesi del loro superamento, bensì su quello della eleggibilità dei loro esponenti da parte dei cittadini, non possono quindi che preoccupare.
Il rapporto tra esse e la legge elettorale, affermatasi in fretta e furia quale risposta alla sentenza della Corte Costituzionale in merito al cosiddetto” Porcellum”, una legge con palesi contraddizioni, per molti osservatori anch’essa a rischio di incostituzionalità, è tale da prefigurare l’uscita dalla democrazia costituzionale.
La legge elettorale in questione è pessima, peggiore della stessa “legge truffa” di antica memoria, perché altera la composizione della rappresentanza democratica, la funzione rappresentativa dell’assemblea parlamentare.
La soglia del 40% per l’attribuzione del premio di maggioranza significa che il 60% dei voti andati ad altri contano assai meno.
In caso di ballottaggio tra le due liste che non hanno raggiunto tale quorum ma hanno preso più voti al primo turno, il premio di maggioranza è assegnato indipendentemente dalla soglia raggiunta, il che significa che chi vince, anche con pochi voti, si prende tutto: Camera dei Deputati, Governo, Istituzioni, Organi di garanzia ( Il Presidente della Repubblica, ad esempio, è eletto dal Parlamento).
Si esce in tal modo dall’assetto democratico previsto dalla Costituzione, si prospetta un accentramento di poteri tale da inficiare qualsiasi mediazione, un uomo solo è al comando.
Siamo di fronte ad un cambiamento profondo, senza precedenti nella storia recente del nostro Paese, ad opera di un Parlamento eletto con una legge elettorale dichiarata illegittima.
Ciò che è accaduto, che si prospetta, non è casuale, è parte di un processo che viene da lontano, che ha progressivamente messo in discussione i principi costituzionali, i diritti sanciti, gli equilibri tra i poteri dello Stato, in nome di una governabilità sempre più funzionale ad affermare le politiche antipopolari da tempo in atto, in altre parole gli interessi di pochi a scapito dei tanti.
Che a seguito di tale riforma il governo Renzi si attenda dall’Europa un allentamento dei vincoli finanziari vigenti, funzionale a coprire parte dei costi di quanto dallo stesso prospettato attraverso la legge di stabilità, dice molto del senso, del carattere antidemocratico del processo di unione europea affermatosi, della subalternità dello stesso a tali politiche ( altro che cambiare verso! ).
Noi, il Partito Comunista d’Italia, in difesa della Costituzione diciamo no alle riforme prospettate, e sin d’ora ci sentiamo impegnati affinché al referendum confermativo che si terrà a suo tempo, prevalgano i no ( già nel 2006 il popolo italiano seppe dire no a quanto imposto dall’allora governo Berlusconi), diciamo no alla legge elettorale affermatasi, e siamo disponibili a promuovere ogni iniziativa atta a metterla in discussione, ivi compreso il referendum abrogativo.
Il governo Renzi continua ad ammantare di sinistra ciò che in realtà è di destra, prospetta una realtà che poco o nulla ha a che vedere con la Costituzione, noi diciamo no!
Roma, Settembre 2015