di Giorgio Langella per http://www.pcdi.it
Nella conferenza stampa di fine anno Matteo Renzi ha sfoggiato la sua solita capacità da imbonitore. Ormai, tra diapositive (due delle quali sono riportate nelle figure) e slogan propagandistici, il presidente del consiglio dimostra le sue “migliori” caratteristiche di venditore di risultati che, se detti da altri e di fronte alla realtà, risulterebbero falsamente ridicoli. E invece tutti i maggiori giornali riportano i dati renziani come fossero la verità assoluta. Siamo di fronte a una propaganda di regime che ha pochi precedenti nella storia del nostro paese. Forse bisogna risalire a più di ottanta anni fa.
Nelle varie diapositive sormontate dalla figura di un gufo (ormai uno standard della propaganda renziana), come nella tradizionale manipolazione di regime, si pubblicano dati parziali e privi di fondamento, senza alcun riferimento riguardo le fonti. Così, la questione del lavoro e dell’occupazione viene ridotta da Renzi a qualche numero disaggregato che ha pochi riscontri con la realtà che si vive ogni giorno.
I dati forniti da istituti non certo di parte avversa al governo (ISTAT, INPS, INAIL, Eurostat, Banca d’Italia … ) ci dicono, invece, qualcosa di diverso. Ci raccontano di un tasso di disoccupazione minore rispetto a quello di inizio anno, ma al contempo di un calo degli occupati e una crescita degli inattivi (di quei lavoratori che non compaiono come “disoccupati” ma che comunque non lavorano). I dati dell’ISTAT (gli ultimi disponibili) si riferiscono a fine ottobre 2015 (evidentemente Renzi ne ha di più aggiornati, ma non citando le fonti risulta difficile controllare … ) e sono i seguenti: a fine 2014 il tasso di disoccupazione era del 12,4% e a ottobre 2015 è di un 11,5%. Gli occupati erano stimati in 22.359.472 a fine 2014 e in 22.443.214 a ottobre 2015, con un incremento di 83.742 unità (come si nota di molto inferiore a quello riportato da Renzi in una delle sue diapositive “esplicative”). Interessante, poi, è notare come dai dati forniti dall’ISTAT risulta come i lavoratori dipendenti permanenti passino dai 14.524.727 di fine 2014 ai 14.527.094 di ottobre 2015 (un incremento di 2.367 unità), quelli a termine crescano di 178.024 unità passando da 2.308.013 a 2.486.037 mentre i lavoratori indipendenti calano di 96.757 unità (passano dai 5.526.841 del 2014 ai 5.430.084 di ottobre 2015), dimostrando come il “jobs act” approvato sia stato in pratica del tutto ininfluente per la stabilizzazione del lavoro, ma che abbia provocato (direttamente o indirettamente e nonostante le “tutele crescenti” e l’abolizione dell’articolo 18) una maggiore precarietà. Precarietà aggravata anche da un altro dato che Renzi si guarda bene dal fornire e che è dato da quella che è considerata la “nuova frontiera del precariato”, cioè la diffusione dei voucher che risultano essere, nel periodo gennaio-ottobre 2015, 91.867.175 (dati INPS) con un incremento del 67,64% rispetto al 2014. Per quanto riguarda la popolazione inattiva, essa è stimata dall’ISTAT, nei primi dieci mesi del 2015, in 14.127.610 unità (erano 14.088.323 a fine 2014). Inoltre Eurostat rileva come in Italia nel primo semestre del 2015 ci siano ben oltre 3 milioni di lavoratori cosiddetti “sfiduciati” che non hanno occupazione ma nemmeno si mettono a cercarla seriamente e come, questo, sia il numero più alto di tutta l’Eurozona.
In pratica le diapositive presentate da Renzi alla conferenza stampa di fine anno riportano solo i dati congeniali a lui e al suo governo non per fornire una fotografia della realtà (che resta molto dura per chiunque viva del proprio lavoro) ma per raccontare i “miracoli” che Renzi stesso dice di aver fatto. Una “rappresentazione gloriosa” che dimentica altri dati che fotografano altre crescite avvenute in questa nostra povera patria. I morti sui posti di lavoro al 31 dicembre 2015 sono 678 (fonte “Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro) con una crescita del 2,6% rispetto al 2014. Considerando i morti in itinere il totale dei caduti sul lavoro ammonti a circa 1.380 (stima minima). Le denunce di malattie professionali (dati INAIL) tra gennaio e ottobre 2015 sono 48.883 (+1,6% rispetto al 2014). E sono 2.159 le denunce di tumori dovuti alle condizioni di lavoro.
Per quanto riguarda il debito pubblico, la Banca d’Italia ha comunicato che a ottobre 2015 è di quasi 2.212 miliardi di euro, cresciuto rispetto ai 2.136 miliardi di inizio anno.
Per non parlare, poi, dell’età pensionabile che dal prossimo anno aumenterà di 4 mesi per gli uomini e di 22 mesi per le donne grazie a una legge (nota come “legge Fornero”) che questo governo non ritiene di dover modificare (se non in peggio). O la sperequazione tra ricchi e “resto della popolazione” che vede consolidarsi e crescere in Italia una situazione di ingiustizia insopportabile. Nel maggio del 2015, il Sole 24 Ore riporta come il 20% degli italiani più ricchi possiede il 61,6% della ricchezza totale del paese, un altro 20% collocati appena al di sotto dei primi ha il 20,9%. Il restante 60% della popolazione ha solo il 17,5% della ricchezza nazionale. Di questi il 20% più povero ne possiede solo lo 0,4%. In pratica, nell’Italia reale (e non in quella che Renzi ci fa credere con la sua manipolazione verbale e la sua propaganda di regime) le persone a rischio povertà sono stimate in 17 milioni e 330 mila, il 28,4% dell’intera popolazione.
A nulla servono i famigerati 80 euro distribuiti come un’elemosina quando la tendenza è quella di smantellare lo stato sociale, di privatizzare tutto il possibile, sanità e istruzione comprese. Che, poi, è quello che vuole un’Unione Europea sempre più tirannica. In Italia c’è bisogno di una svolta radicale, di una lotta all’evasione e alla corruzione, di far pagare le tasse in maniera progressiva a chi detiene la maggior parte della ricchezza nazionale, di un intervento del pubblico in economia. C’è bisogno di riprendersi quella sovranità che appartiene al popolo come stabilisce il primo articolo della nostra Costituzione (quella che Renzi e soci vogliono, di fatto, cancellare).
Il governo Renzi ha fatto, sta facendo e farà (se riuscirà ad attuare l’accelerazione minacciata per il 2016) cose tali che, se solo le avesse ipotizzate Berlusconi, avrebbero scatenato una sollevazione da parte dei maggiori sindacati e della sinistra, come successe nel 2002 con la mobilitazione contro la cancellazione dell’articolo 18. Oggi l’opposizione parlamentare è timida, titubante e domani, con l’Italicum sarà presumibilmente assente. A proposito della nuova “riforma costituzionale” e della nuova legge elettorale che Renzi non esita a definire “storica” in quanto darà “stabilità” è bene ricordare quanto scrisse Enrico Berlinguer rispetto alle modifiche costituzionali ed elettorali ipotizzate dalle forze politiche governative e mai attuate grazie all’esistenza di un partito, il PCI, che garantiva solidità alle istituzioni democratiche nate dalla Resistenza.
Nell’aprile del 1984 Berlinguer, infatti, affermava nella sua prefazione alla raccolta dei discorsi parlamentari di Palmiro Togliatti: “Attraverso alcune delle «riforme» di cui si sente oggi parlare si punta a piegare le istituzioni, e perciò anche il parlamento, al calcolo di assicurare una stabilità e una durata a governi che non riescono a garantirsele per capacità e forza politica propria. Ecco la sostanza e la rilevanza politica e istituzionale della «questione morale» che noi comunisti abbiamo posto con tanta decisione. Anche la irrisolta questione morale ha dato luogo non solo a quella che, con un eufemismo non privo di ipocrisia, viene chiamata la Costituzione materiale, cioè quel complesso di usi e abusi che contraddicono la Costituzione scritta, ma ha aperto anche la strada al formarsi e al dilagare di poteri occulti eversivi – la mafia, la camorra, la P2 – che hanno inquinato e condizionato tuttora i poteri costituiti e legittimi fino a minare concretamente l’esistenza stessa della nostra Repubblica. Di fronte a questo stato di cose, di fronte a tali e tanti guasti che hanno una precisa radice politica, non si può pensare di conferire nuovo prestigio, efficienza e pienezza democratica alle istituzioni con l’introduzione di congegni e meccanismi tecnici di dubbia democraticità o con accorgimenti che romperebbero formalmente l’equilibrio, la distinzione e l’autonomia (voluti e garantiti dalla Costituzione) tra Legislativo, Esecutivo e Giudiziario, e accentuerebbero il prepotere dei partiti sulle istituzioni.”
Bisogna rendersi conto che il governo Renzi e i padroni ai quali esso risponde (e dai quali è diretto) stanno portando a compimento il “Piano di rinascita Democratica” della P2 di Licio Gelli che allora non riuscirono a realizzare grazie al senso dello Stato, alc
oraggio e alla determinazione di politici come Enrico Berlinguer e Tina Anselmi (per citare solo due protagonisti della scena politica dell’epoca) e la forza di un Partito Comunista che contrastò con fermezza quel disegno eversivo. Se vogliamo sperare di non continuare nel prossimo anno ad assistere al declino democratico nel quale il nostro paese sembra destinato irreversibilmente, se vogliamo riconquistare quella sovranità popolare e nazionale progressivamente cedute a istituzioni sempre più simili ad aziende, è necessario ricostruire (o almeno tentare di farlo) un Partito Comunista degno di questo nome che possa contrastare il capitalismo trionfante e la distruzione della Costituzione. Il nuovo anno nasce senza garanzie di benessere, progresso e crescita democratica. Sta a noi, ad ognuno di noi, conquistarle.