Milano – 8 settembre 2017 – Piazza Giovanni Pesce comandante partigiano

21457433_1612103182198511_5877309890012926980_o.jpgdi Tiziana Pesce

Da ieri Milano è più antifascista perché dedicare una piazza a mio padre significa dedicarla simbolicamente a tutti coloro che hanno combattuto. E noi abbiamo il dovere  di mantenere vivo il ricordo di quegli anni per difendere i principi della Costituzione, il terreno da cui prendono forma e sostanza i valori della libertà e della giustizia. Ieri per me è stata una giornata indimenticabile. Ho ritrovato tanti di voi con cui avevo condiviso iniziative bellissime, ci siete stati tutti, con i vostri sorrisi, le strette di mano, la commozione che ho visto in tanti occhi. Insieme a voi sto bene, mi sento come se vicino a me ci fossero “loro due”, i miei. Ora, avanti, insieme, sempre nell’unità  dell’antifascismo.

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Buongiorno a tutti e grazie per essere qui con me e per lui.
Che belle le piazze antifasciste!
Sono la nostra storia, oggi più che mai, in un momento in cui le forze che si richiamano al fascismo rialzano la testa, e oggi che a Roma vorrebbero riproporre quella marcia, noi siamo riuniti qui a rendere più forti le radici dell’antifascismo per mantenere vivi quei sentimenti e quei valori che sono alla base della nostra libertà.

Quindi ringrazio l’Anpi e il Comune di Milano il nostro sindaco,e Simone Zambelli del Municipio 8 per aver voluto rendere omaggio a mio padre intitolandogli questo luogo nella città dove lui ha combattuto contro il nazifascismo. Oggi, 74 anni fa l’antifascismo diveniva Resistenza e a Torino, mandato dal Partito Comunista, mio padre prese il suo primo nome di battaglia “Ivaldi” comandante gappista, per poi diventare Visone al comando della 3a GAP Rubini qui a Milano.

Credo che tutti voi conosciate la vita e le azioni di mio padre, attraverso i suoi libri. Vorrei però ricordare la sua ultima intervista nel libro” Visone un comunista che ha fatto l’Itaia” di Franco Giannantoni grande storico e e Ibio Paolucci giornalista dell’Unità (Qando l’Unità era un grande giornale)e critico d’arte, quest’ultimo recentemente scomparso.

Ricordo il desiderio e l’emozione di mio padre di raccontarsi ancora una volta, a distanza di 50 anni dall’uscita di Senza Tregua, ai due cari amici, compagni sempre presenti alle varie iniziative, come i viaggi della memoria che abbiamo fatto in quella Spagna che è rimasta nel suo cuore, simbolo di solidarietà internazionale, perché vide riuniti uomini di ogni origine, di ogni ceto, che si sentivano tutti fratelli, convinti che lottare per la salvezza di un popolo fosse lottare per la salvezza dell’umanità, oltre l’idea di confini nazionali, perché la libertà e la dignità di esseri umani non può essere fermata da barriere fittizie, allora come oggi e noi non possiamo restare sordi alle grida di aiuto che ci giungono oltremare.

La storia di mio padre è quella di un uomo che non ha mai ammainato la bandiera rossa con la falce e il martello simbolo del popolo del quarto stato.

Nei miei ricordi il contenuto emotivo è forte, e non posso dimenticare che ci troviamo in una zona, questa, in cui non solo mio padre passò spesso, in tram e in bicicletta, ma in cui furono organizzate diverse azioni di sabotaggio sia quando comandava la 3a GAP sia quando si ritrovò al comando della 106a Brigata SAP in Valle Olona: Rho, Lainate, Nerviano, Pero, senza escludere Milano.

Vorrei condividere con voi due brani di mio padre affinché risuonino le sue parole in questa piazza.

“Dobbiamo costituire una brigata in grado di disturbare seriamente i nazifascisti della periferia milanese, nella zona a cavallo dell’Olona e lungo le due autostrade che uniscono Milano e Varese a Como, una vasta hinterland industriale, intersecata da linee ferroviarie e da una rete d’importanza vitale per lo schieramento tedesco in Piemonte e in Lombardia. Campagna piatta, rogge, fossati, una miriade di casolari, di cascine disseminate lungo le strade che avremmo dovuto rendere insicure al traffico del nemico.”

La preparazione militare di mio padre, data dalla guerra in Spagna, e il suo modo di porsi, indomito contro ogni attendismo, erano tali che trasformò gli uomini della Brigata Sap in eccellenti gappisti portandoli a compiere azioni incredibili.

Scrive:
“Il gappista era un uomo che amava profondamente la vita, ed era proprio questo attaccamento ideale e sentimentale per una esistenza civile, libera, democratica, questo amore per la sua terra, la famiglia, il lavoro e lo studio a esaltare le sue energie, a spronarlo a osare al di là di quello che comunemente un uomo osa.
Sembra un assurdo gioco di parole: eppure, in verità, il coraggio del gappista nasceva da una volontà di pace: per la pace e la libertà correva ogni sorta di pericoli. Era un magnifico esemplare di uomo che, come disse Bertrand Russell dei rivoluzionari vietnamiti, onora il genere umano.”

Chi ha qualche dimestichezza con una lunga serie di sigle con le quali, durante la Resistenza, si indicavano e distinguevano i distaccamenti militari, i battaglioni, le brigate e tutti gli altri gruppi combattenti, come pure le varie organizzazioni per così dire civili, sa che GAP vuol dire “Gruppi di azione patriottica”.

Scrive
“Quelle tre lettere scarne, tracciate furtivamente con un gesso o un carboncino, quelle tre lettere da sole infondevano fiducia e speranza da una parte e provocavano paura e terrore dall’altra.”

E’ strano come a volte le storie umane si uniscano e si intreccino: queste stesse tre lettere riappariranno trent’anni dopo in Cile a denominare altri valorosi combattenti per la libertà. GAP era l’acronimo di Grupo de amigos personales, ovvero il gruppo di militanti della Juventud e del Partido Socialista preposti alla sicurezza del Presidente Salvador Allende che combatterono al suo fianco al Palazzo della Moneda l’11 settembre 1973. Molti di loro sono sulla lista dei cileni desaparecidos.

Nei Gap cileni c’era Sepùlveda che in “Il generale e il giudice” scrive queste parole, che dedico a mio padre…. e un pensiero a mia madre che, con un coraggio incredibile e una forza fisica e soprattutto caratteriale, seppe resistere alle torture salvando non solo Visone ma, concedetemelo, tutti noi.

“Quelli di cui sentiamo la mancanza si guardavano negli occhi con fiera tenerezza, con violento affetto, con passione armata di futuro. Ne sentiamo la mancanza perché osavano proporre un’esistenza migliore di quella del gregge. Ne sentiamo la mancanza perché dicevano che il pane era di tutti o di nessuno; … perché nella penombra della camera si avvicinavano al letto dei figli, li accarezzavano, lasciavano sulle loro fronti la stella di un bel sogno, e, quando uscivano per compiere un’azione, lo facevano sapendo quante cose avevano da perdere, eppure agirono con la risolutezza di chi ha la ragione dalla sua parte .. Avevano sognato che si poteva vivere in piedi … Avevano sognato che la felicità di tutti era possibile. Avevano sognato di creare una legge giusta, davanti alla quale saremmo stati tutti uguali… Per questo ne sentiamo la mancanza: perché erano rivoluzionari.”

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