traduzione di Marica Guazzora
di Fábio Bezerra del Comitato Centrale del PCB
170 anni fa, il 21 febbraio del 1848, venne pubblicata la prima edizione del Manifesto del Partito comunista, il lavoro commissionato da Karl Marx e Friedrich Engels per la Lega dei Comunisti (1836) e divenne uno dei testi più letti nella storia dell’umanità
Scritto tra le rivolte europee di fine 1847 e inizio 1848, conosciuto come la “Primavera dei Popoli”, il Manifesto, nel linguaggio popolare, trascrisse con una analisi materialista, lo sviluppo sociale del genere umano nel corso della storia, evidenziando un approccio critico al modo di produzione capitalista, come ad esempio l’interrelazione dialettica tra produzione economica e la struttura sociale, politica e ideologica in ogni epoca, come totalità organica del modo di esistenza sociale; la teoria della lotta di classe come effetto delle contraddizioni tra le forze produttive e i mezzi di produzione e la spinta propulsiva delle trasformazioni storiche; il ruolo dello Stato come comitato politico e operativo del potere della classe dominante; la mutabilità delle relazioni sociali e l’intero insieme di rappresentazioni filosofiche, religiose e politiche e di formulazione, per la prima volta nella storia del movimento socialista, di un programma per la rivoluzione futura.
Programma le domande che possono essere poste per esaminare la realtà delle nazioni europee che hanno già maturato contraddizioni post-capitalismo rivoluzione industriale, spiega un metodo al proletariato cioè la necessità di cercare di capire, nel processo storico e in ogni formazione sociale concreta in un dato momento e luogo, le contraddizioni di classe e l’insieme delle situazioni derivanti che permettano di delineare le migliori tattiche possibili da adottare dai rivoluzionari, in vista della conquista del potere. Questo metodo non ha perso la sua attualità.
Dopo 170 anni, alcuni potrebbero chiedersi perché celebrare un testo su cui gli autori, anni più tardi, in una prefazione celebrativa per la nuova edizione, avevano testimoniato che questo testo era stato in alcuni punti superato perché in contrasto con i fatti attuali. Ma molto, invece, è rimasto.
Perché il Manifesto comunista, per decenni, è stato il principale opuscolo di propaganda al socialismo scientifico in tutto il mondo, influenzando i giovani, gli intellettuali, i lavoratori e di grande aiuto per l’organizzazione di numerosi lavoratori e partiti comunisti. Era presente nella lettura dei comunardi francesi nel 1871, dei rivoluzionari russi nel 1917 e nelle file dei rivoluzionari nella guerra civile spagnola.
In Brasile, è stato uno dei testi suggeriti nella formazione del partito Socialista (1902) appena creato, di breve durata, e faceva parte del processo del PCB fondato nel 1922. L’anno seguente, Octavio Brandão ha tenuto la prima traduzione brasiliana del Manifesto, dall’edizione francese di Laura Lafargue, che è stata pubblicata sul giornale sindacale Voz Cosmopolita.
Più che un manifesto politico, risultante delle discussioni nel Congresso della Lega dei comunisti, il testo si occupava della propaganda di agitazione con uno stile unico, con tesi e analisi obiettiva e ben strutturata delle condizioni prevalenti nella seconda metà del secolo XIX e indicando, oltre i limiti delle precedenti proposte socialiste e ancora molto influenti, al momento, una chiara azione del proletariato, tattica, finalizzata alla organizzazione e al consolidamento di un partito politico strutturato tra le masse e concentrato sulla lotta per il potere.
Anni dopo, quando venne fondata l’Associazione Internazionale dei Lavoratori nel 1867, questa ebbe buona parte dei contenuti del Manifesto comunista, vale a dire, la necessità di analizzare e comprendere le dinamiche reali del capitale, l’importanza dell’organizzazione politica della classe e l’inevitabile lotta per il potere politico.
La rilevanza di un documento fondamentale per la tradizione politica e filosofica non è quello di trasformarlo in una guida sacralizzata acriticamente o una prescrizione per tutti i mali, come molti dogmi si sono consolidati nel tempo in nome della rivoluzione o persino nel nome del marxismo. Ma è proprio nella capacità di rivedere, alla luce delle contraddizioni storiche, la linea di alcune tesi, e dalla riflessione critica di promuovere la ricerca e lo sviluppo di nuovi modelli che possano affrontare la realtà presente, senza travisare i fondamenti strategici presenti nel Manifesto.
Come direbbe il compagno Lenin: “… senza la teoria rivoluzionaria, non c’è pratica rivoluzionaria”! Questo ci consente, per esempio, di comprendere che anche la rivoluzione proletaria, sottolineata in modo ottimistico e inevitabile nel Manifesto, ha nel testo stesso l’analisi di elementi che indicano i motivi della reazione controrivoluzionaria che abbiamo visto nel XX secolo.