Storie di donne nella Rivoluzione: Inessa Armand

I180px-Inessa_Armandnessa Armand (nata Elisabeth-Inès Stéphane) nacque l’8 maggio 1874 a Parigi. Figlia di Théodore Stéphane (nome d’arte di Théodore Pécheux d’Herbenville), cantante d’opera, e di Nathalie Wild, attrice, in seguito alla morte del padre fu trasferita a Mosca presso una zia (1879).
Ebbe una formazione da istitutrice e a diciannove anni sposò Alexander Armand, figlio di un ricco industriale tessile russo. Insieme aprirono una scuola per i bambini contadini e, successivamente, un’associazione per l’aiuto delle donne indigenti a Mosca.
Ma Inessa non seppe adattarsi alla vita borghese e a venticinque anni lasciò il marito ed i figli per dedicarsi completamente alla politica.
Dal 1903 al 1904 soggiornò in Svizzera, dove scoprì gli scritti di Lenin e aderì definitivamente al marxismo. Si iscrisse al Partito socialdemocratico del lavoro e partecipò alla sua propaganda illegale.
Nel 1907 venne arrestata e condannata a due anni di confino in Siberia. Terminata la condanna si trasferì a Parigi ed entrò in contatto con Vladimir Lenin ed altri bolscevichi che vivevano in esilio.
Nel 1911 divenne segretaria del Comitato di coordinamento dei bolscevichi in Europa occidentale e l’anno seguente tornò in Russia per organizzare la campagna elettorale del partito per le elezioni della Duma. Dopo aver trascorso altri sei mesi in carcere raggiunse Lenin e Nadezhda Krupskaya in Galizia (agosto 1913), ove pubblicò l’opera Rabotnitsa. In quegli anni Lenin intrecciò con lei una lunga relazione sentimentale oltre che una stretta collaborazione lavorativa. Fu la sola persona, al di fuori dei familiari, a cui Lenin diede del “tu” nelle sue lettere.
Inessa partecipò agli incontri del movimento di Zimmerwald e nel marzo 1915 si recò a Berna dove aveva organizzato la Conferenza internazionale pacifista delle donne socialiste.
Nell’aprile del 1917 fece ritorno assieme a Lenin e ad altri 26 rivoluzionari in Russia. Dopo la Rivoluzione di ottobre, Inessa divenne Commissario del popolo per l’Assistenza, c componente del Comitato esecutivo del Soviet di Mosca e della Commissione femminile del Comitato centrale, che presiedette dal 1919 fino alla morte.
Nel febbraio 1919 fece parte della missione della croce rossa per rimpatriare i prigionieri di guerra russi. Al suo ritorno a Pietrogrado prese la direzione di Zhenotdel, un’organizzazione che ebbe lo scopo di battersi per l’uguaglianza femminile nel partito comunista e nei sindacati sovietici.
Nel 1920 presiedette il Primo Congresso Internazionale delle donne comuniste.
Inessa morì di tifo a quarantasei anni (il 24 settembre 1920) durante un viaggio a Nalcik (Caucaso).
Il suo legame con Lenin fu profondo ma quest’ultimo non volle mai rinunciare alla moglie Nazeda Krupskaja che era a conoscenza del rapporto (era stato lo stesso Ilich a confessarlo) e che avrebbe acconsentito a farsi da parte.
Il funerale di Inessa si svolse a Mosca e Lenin lo seguì con grande commozione.
La sua salma fu sepolta sulla Piazza Rossa, sotto le mura del Cremlino, accanto a quella di John Reed. Qualcuno ipotizzò che quel dispiacere influì negativamente sulla sua salute, accelerando lo sviluppo della malattia che poco tempo dopo lo avrebbe colpito. Ci fu una voce secondo cui dall’amore tra Lenin ed Inessa sarebbe nata una bambina, ma le sue presunte tracce si persero nella Russia staliniana.

Tratto da  “Sulle tracce di Inessa”

di Ritanna Armeni

Ho incontrato Inessa Armand per caso. Volevo scrivere un saggio sugli «amori a sinistra», una storia sul modo di amare di chi ha pensato di voler cambiare il mondo, dai padri fondatori alla rivoluzione sessuale, fino ai giorni nostri. Avevo iniziato le mie letture e le mie ricerche. C’era molto da indagare: Marx, la moglie Jenny e la governante Helene Demuth, Togliatti, Nilde Iotti e Rita Montagnana, Antonio Gramsci e le sorelle Schucht…

L’ho trovata proprio all’inizio del mio lavoro a fianco di Lenin e non sono riuscita a lasciarla. La sua figura misteriosa – quasi un’apparizione – disegnata in modo poco preciso mi ha incuriosito. Ho cercato di saperne di più, ma non è stato facile. Quasi nessuno di quelli che conoscevano la storia della rivoluzione bolscevica e della nascita dello Stato Sovietico avevano sentito parlare di lei. Alcuni sapevano il suo nome, ma niente di più. Ho trovato solo notizie sparse, qualche articolo che la citava, una sua lettera negli articoli dei giornali dopo l’apertura degli archivi dell’Unione Sovietica nel 1992. Era una bolscevica, era stata ai vertici del partito, ed era forse – «forse» si ripeteva con prudenza – una delle due donne che Lenin aveva amato.

Ho esteso la ricerca in altri Paesi e ho scoperto che, se in Italia nessuno si era occupato di lei, in Francia, in Germania, in Inghilterra e in Russia c’erano studi storici e biografie. Non molti, ma c’erano. Inessa aveva fatto parte del gruppo di donne bolsceviche che avevano avuto un ruolo nella costruzione dell’Urss; la sua figura politica era quindi citata di frequente anche se non analizzata in profondità; il suo rapporto con Lenin era raccontato con sfumature e toni diversi.

Ho deciso di procurarmi quei libri, di trovare le sue lettere, i suoi discorsi, i libri dove appariva anche solo in una breve citazione. Il lavoro per delineare in modo più chiaro i contorni della sagoma di Inessa non era facile, ma neppure impossibile, anche se non avevo fonti italiane e su di lei era stato scritto in tempi non recentissimi. Poi, proprio lo stesso giorno in cui ho abbandonato il progetto degli «amori a sinistra» e ho deciso di cambiare e di indagare sulla sua figura, la fortuna mi aiutato. Navigando su Internet, la prima scoperta. Su Ebay, un certo «Petruccio» vendeva usata la biografia di Inessa Armand di George Bardawil, ormai quasi introvabile. Ho chiamato immediatamente. Pensavo a una telefonata breve e formale, ma Petruccio aveva una voce simpatica ed era molto curioso. Non si è limitato a prendere accordi per l’invio del libro, ha voluto sapere perché ero interessata alla figura di Inessa. «Non lo so esattamente», gli ho risposto, «faccio la giornalista e forse scriverò qualcosa su di lei, quasi nessuno la conosce e mi sembra un personaggio interessante». Il mio interlocutore è sembrato positivamente sorpreso, quasi contento. «Anch’io volevo scrivere qualcosa molti anni fa quando gli archivi dell’Urss non erano ancora stati aperti, volevo capire chi fosse davvero Inessa, poi ci ho rinunciato. Era un lavoro troppo difficile. Sarei felice se ci riuscisse lei». Era davvero contento. «Non ho solo la biografia di Bardawil», mi ha detto, «ne ho delle altre: Elwood, Pearson, persino quella di Fréville, il segretario di Thorez, che mi hanno mandato in fotocopia dalla Francia. Sono un mio regalo».

La telefonata mi ha emozionato. Mi è sembrata un segnale, ha confortato quella spinta di curiosità del tutto irrazionale che avevo provato. Di segnali ne avevo avuti già altri in quei giorni. Avevo deciso di scrivere su Inessa, il 9 ottobre e di cominciare con il racconto del suo funerale quando avevo realizzato che si era svolto lo stesso giorno del 1920, proprio il 9 di ottobre. Subito dopo ero andata a fare una passeggiata per schiarirmi le idee: era giusto abbandonare il progetto di un libro sull’amore a sinistra per affrontare l’avventura di scrivere su una donna la cui vita era rimasta così sconosciuta? «A chi vuoi che gliene freghi di un amore di Lenin?» mi aveva detto mio marito Sergio, che non è esattamente un ottimista, ma qualche volta ci azzecca. Per strada avevo trovato due chiavi. Per me erano un altro segnale. Mi capita di frequente di trovarne e le raccolgo perché, secondo una mia privata e stupida superstizione, significa che posso risolvere il problema che in quel momento mi si pone. In quel caso le chiavi dicevano che dovevo scrivere su Inessa. Così, almeno, mi piaceva pensare. Poi l’incontro con Petruccio, la simpatia provata nei suoi confronti, la sua generosità erano stati un’altra indicazione.

Pur colpita da quel colloquio telefonico e da quelle coincidenze, non potevo lasciare tutto al Caso. Quando il mio interlocutore ha cominciato a elencarmi i modi in cui poteva inviarmi i suoi preziosi volumi, ho temuto il peggio: le poste, i corrieri, qualche sua mancanza, un cambiamento d’idea. «Dove abita?» gli ho chiesto. «A Piadena, fra Mantova e Cremona», mi ha risposto, e allora gli ho raccontato una bugia: qualche giorno dopo mi sarei recata a Verona per lavoro e potevo fare una piccola deviazione per passare da lui a prendere personalmente il prezioso materiale.

Ho trovato Petruccio in una piccola casa zeppa di libri alla periferia di Piadena. Un uomo coltissimo, informato, gentile, che aveva dedicato alla lettura e allo studio tutto il tempo che gli restava dopo il suo lavoro d’impiegato. Si faceva vanto di non avere la televisione, era stato comunista e di quella storia conosceva moltissimo. Ne parlava con ironia e con affetto come di un sogno al quale non credeva più, ma che lo soccorreva ancora per decifrare il presente, gli forniva quegli occhiali dell’ironia che tanto aiutano a non accettare supinamente quel che accade. Mi ha dato notizie utilissime: mi ha consigliato di andare alla Mediateca Rai dove avrei potuto vedere qualche minuto dei funerali di Inessa. E di informarmi sugli orari di un museo dedicato a lei a Puškino, una cittadina a pochi chilometri da Mosca dove Inessa aveva abitato molti anni. Ho capito mentre parlavamo che mi stava affidando la storia che non aveva scritto e che, con una sorta di rude malinconia, mi passava il testimone. L’ho preso. Gli ho detto che gli avrei fatto sapere se il lavoro fosse andato avanti.

Ero impaziente di tornare a casa, e di guardare subito le foto di Inessa. L’ho trovata intensa, di una bellezza non convenzionale. Ho anche letto che nella realtà era ancora più bella.

Ho cominciato a sfogliare i libri con una curiosità avida che non mi ha mai abbandonato man mano che la ricerca si è fatta più precisa, che le testimonianze, i libri, le fotocopie si accumulavano sul mio tavolo. Ai libri che mi aveva dato Petruccio se ne sono aggiunti man mano altri che mi arrivavano dalla Germania, dell’Uzbekistan, dalla biblioteca di qualche amico, che di colpo si era ricordato di lei. Partivo da un indizio, da una frase per scavare e confrontare. Volevo avere tutto quello che era stato scritto anche in lingue che non conoscevo. Pensavo che con il tempo avrei trovato un traduttore.

Da quel momento è cominciata un’avventura. La mia – ho scoperto alle tre di una notte in cui ancora sfogliavo volumi e prendevo appunti – non era solo la curiosità della giornalista. C’era il desiderio di dare conto di una grande avventura, di risarcire una donna che la storia non aveva trattato bene; c’era la presunzione – c’era anche la presunzione – di capire ciò che altri avevano messo da parte: i suoi sentimenti, il suo amore per Lenin e quello del capo della rivoluzione per lei. Ero sicura che l’avrei compresa più di quanto avessero fatto altri. O meglio, pensavo che la vita di Inessa mi avrebbe svelato ciò che lei stessa non aveva voluto o non aveva fatto in tempo a raccontare.

Scoprire la storia di Inessa e dell’amore fra lei e Vladimir Il’ič è stato un viaggio mosso dalla passione. Ogni lettura, ogni ricerca sono diventate una sorta di appuntamento e le biografie, gli articoli, la lettura dei libri che parlavano di lei assomigliavano a incontri con amici o conoscenti che mi potevano svelare qualcosa. Ho scoperto subito che se si vogliono avere notizie ufficiali se ne possono trovare moltissime, anche dopo la fine dell’Urss. Archivi, istituti storici, biblioteche soprattutto in Russia hanno conservato molto su di lei. C’è la raccolta degli scritti di Inessa, c’è un’opera collettiva pubblicata nel 1926 in sua memoria, ci sono tanti filmati ufficiali, le lettere di Lenin e le memorie di Nadja Krupskaja. E poi le biografie quelle ufficiali e quelle indipendenti. E gli storici, anche chi ha scritto la storia con la maiuscola, non ha potuto fare a meno di citarla, sia pure en passant, quando hanno parlato della vita di Vladimir Il’ič. O quando hanno affrontato il tema delle riforme che riguardavano le donne e la famiglia nei primi anni dopo la rivoluzione. Anche fra quelle righe così avare di approfondimenti e di particolari, si poteva scorgere il profilo di una vita.

La storia ufficiale, dettata dalla nomenclatura Sovietica, descrive Inessa come una rivoluzionaria di professione, colta e disciplinata, la cui vita era stata dedicata al partito, pronta a tutto per l’edificazione dello stato Sovietico. La sua intimità con Lenin derivava proprio dalla sua straordinaria abnegazione. Tanto eccezionale che il diffidente Lenin aveva avuto assoluta fiducia in lei prima e dopo la rivoluzione e aveva fatto sì che diventasse presidente dello Zhenodtel, cioè della sezione femminile del Comitato centrale del partito bolscevico. In poche parole, per una fase sia pur breve, la donna più potente di Russia. Era stata sicuramente fra i pochi che avevano libertà di frequentare il capo della rivoluzione e aveva avuto l’onore di essere sepolta – unica straniera insieme a John Reed – nel «cimitero rosso», davanti alle mura del Cremlino, con i grandi uomini della rivoluzione.

Ma nel ritratto ufficiale, stereotipato, sicuramente incompleto, forse non del tutto veritiero, la figura di Inessa risultava opaca. Anche la lettura delle biografie che con il regime non avevano nulla a che fare, che anzi a esso erano avverse, la chiariva solo in parte. Erano scritte tutte da uomini, che, per quanto attenti, professionali, ricercatori e professori d’indubbio rigore, mi pareva si fossero lasciati sfuggire qualcosa. Quel che si diceva sul suo conto pareva documentato e la sua figura era apprezzata, ma qualcosa strideva o non quadrava. Inessa sfuggiva, non si riusciva ad afferrarla nella sua completezza.

Soprattutto era difficile capire il suo rapporto con Lenin. E quindi – questione non da poco – i suoi sentimenti, il modo in cui aveva vissuto un’amicizia, un amore o entrambi. Era stata solo una devota compagna, amica di famiglia e dirigente del partito? Una figura importante per il capo della rivoluzione ma solo come confidente, una donna di fiducia come la storiografia di regime affermava? Oppure era stata anche qualcos’altro? La sua «amante», come, con un cedimento maschilista e conservatore, era definita da alcuni testimoni e storici? Era lei la donna per cui il capo della rivoluzione russa aveva nutrito una passione segreta? C’era stato davvero fra i due, come molti sospettavano, un amore durato undici anni fino alla morte di Inessa nel Caucaso? E che amore era stato il loro? Come lo avevano vissuto?

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Il seguito su….

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