Gramsci e il fascismo

di Gianni Fresu*

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Traduzione a cura di Marica Guazzora

Il fascismo è probabilmente uno dei temi che nella storia contemporanea del pensiero occidentale ha prodotto il maggior numero di studi. Una produzione enorme con approcci diversi e molte implicazioni interdisciplinari. Nella storiografia, la sociologia, la scienza e la filosofia politica  ha prodotto molteplici canoni interpretativi, caratterizzati da focalizzare l’attenzione su questo o quell’elemento – storico, economico, sociale o morale – per stabilire il fenomeno predominante del fascismo. Parlando di fascismo, molte volte troviamo letture piuttosto superficiali che attribuiscono tale definizione a qualsiasi movimento conservatore o fenomeno autoritario. In realtà, il fascismo ha le sue caratteristiche, che devono essere conosciute. Studiare l’intero complesso insieme di eventi e lotte nelle trincee del West, con una prospettiva più ampia, non limitata al periodo 1922-1945, è essenziale per comprendere un periodo tra i più drammatici della storia dell’umanità contemporanea. In questo senso, la lettura di Gramsci, centrale in questo lavoro, è uno spartiacque interpretativo essenziale, proprio perché non ha mai accettato le semplificazioni che riducono da schema o a  matematiche equazioni la dinamica del ‘grande, complicato e mondo terribile “, dove ogni azione fatto sulla complessità risveglia degli echi insospettati.

Le letture di Gramsci sul fascismo sfuggono alle rigide classificazioni e, quindi, sono considerate molto originali nel panorama intellettuale del suo tempo. Hanno come il materialismo storico perno e, di conseguenza, una trama generale che individua il fattore determinante per gli elementi economici e sociali, ma prende in considerazione anche fattori ideologici, tra cui la crisi morale della borghesia. Gramsci interpreta anche il fascismo come una reazione a una fase di profonde trasformazioni sociali legate alla prima guerra mondiale e in particolare alla rivoluzione di ottobre. Ma non considererà la borghesia e il suo modo di produzione come un blocco omogeneo. Gramsci legge all’interno del blocco sociale dominante le differenziazioni e le contraddizioni che si rivelano nel periodo di nascita e affermazione del fascismo. In particolare, la ricerca dietro il fascismo, tenta la centralizzazione degli interessi borghesi, ma lo ritiene un fenomeno nato tra piccola e media borghesia urbana, per precise ragioni storiche, che si è  sviluppato con il supporto dei proprietari terrieri e del  grande capitale industriale. In breve, Gramsci non era soddisfatto della lettura del fascismo come mera reazione contro il proletariato, sebbene affermasse anche l’essenzialità di questo fattore.

Possiamo dire che Gramsci ha interpretato il fascismo nel suo rapporto con la debolezza delle classi dominanti e ai limiti dell’unificazione politica e della modernizzazione economica che ha segnato la storia d’Italia. Quindi per Gramsci il fascismo è un fenomeno storicamente determinato. Ma la sua origine dovrebbe essere indagata anche in relazione ai processi osservati nel contesto europeo, come la fine della fase espansiva della rivoluzione borghese e il passaggio dalla “guerra manovrata” alla “guerra di posizione” [1]. Nelle diverse letture sull’opera di Antonio Gramsci si affermava una favorevole tendenza alla teoria della discontinuità tra le riflessioni precedenti e quelle che seguivano l’imprigionamento dell’intellettuale comunista. Questa tendenza, determinata da esigenze più politiche che scientifiche, è stato rivelato senza rigore filologico, dimostrando in breve tempo tutti i suoi limiti. È esattamente intorno al fascismo (anche se non solo) che la tesi della discontinuità mostra tutta la sua debolezza concettuale. Egli sottolinea una profonda continuità e organicità analitica, che immediatamente dopo la guerra appare nell’idea di crisi organica e nell’analisi che indica la tendenza delle classi dominanti alla sovversione reazionaria.

Già nel 1920, Gramsci ne era consapevole e scriveva che la controffensiva delle classi dominanti, oltre a spazzare la lotta politica degli operai, avrebbe mirato all’assorbimento, all’interno dello stato borghese, delle istituzioni di associazione economica e sociale delle classi sfruttate [2].

Ed è esattamente ciò che accadrà negli anni ’20, con la costruzione di istituzioni corporative sul fascismo. Secondo Gramsci, il fascismo non ha un’ideologia originale, ma raccoglie i suggerimenti di diverse dottrine. Quindi, in primo luogo, sarebbe politicamente in debito con il nazionalismo di Corradini, in particolare per quanto riguarda il concetto di lotta tra “nazioni proletarie” e “nazioni capitaliste”, che secondo il capo del nazionalismo italiano avrebbe portato a “giovani nazioni” “Sostituire quelli vecchi e decrepiti nella conduzione dell’umanità, un concetto mutuato dalla teoria del conflitto di classe e tradotto in chiave nazionalista nel confronto della politica internazionale. Nel caldo della prima guerra mondiale, il giovane Gramsci, in un articolo del 1916 [3], percepito il pericolo di questa operazione – premessa della tragica idea di “spazio vitale” – che esprime la  lotta politica attraverso la guerra, conquista dei mercati, “subordinazione economica e militare di tutte le nazioni a una  sola, che con il sacrificio di sangue e il suo immediato benessere, si è dimostrato la prescelta, la degna “[4]. In termini culturali il fascismo era debitore dell’ irrazionalismo e del futurismo di Tommaso Marinetti, con il suo nichilismo dell’ aspetto innovativo, ma in realtà confusamente reazionario. Il manifesto politico di Marinetti era per Gramsci un insipido programma liberale, che già ha visto le convulsioni di una borghesia subdola e disorientata, ancora, la distanza tra questa forma mascherata di liberalismo e la statura politica di una figura come Cavour, era per Gramsci siderale [5].

Nell’articolo L’unità nazionale pubblicato da “L’Ordine Nuovo” il 4 ottobre 1919, Gramsci scrive che la storia può forgiare contesti in cui in una classe spiritualmente sana e unita, possono insorgere individui “politicamente disaggregati”, distaccati da qualsiasi realtà economica concreta. Infatti, una parte significativa della borghesia assunse punto di riferimento ideale D’Annunzio e lo  contrapposte all’autorità legale e alla disciplina del governo centrale, così come per  l’organizzazione armata contro il governo di Fiume (la città rivendicata da Italia dopo la Prima Guerra Mondiale e occupata militarmente nel 1919 dai legionari di D’Annunzio), trasformando questo  “gesto letterario in fenomeno sociale”.  Erano le prime manifestazioni di questo sovversivismo reazionario attraverso il quale Gramsci e potrebbe vedere una guerra civile scatenata dalla borghesia o il dominio – armato – all’interno della società e dello Stato [6]. Come spiegato nell’ articolo Gli Avvenimenti 2-3 dicembre , “L’OrdineNuovo” del 6-13 Dicembre 1919, con la guerra, la militarizzazione della produzione e la trasformazione delle città,  fabbriche, e burocrazia statale in una grande caserma, la piccola e media borghesia si trovò improvvisamente al centro degli eventi. In altre parole, per realizzare questa “mostruosa costruzione”, lo Stato e le associazioni capitaliste hanno usato la piccola borghesia [7].

Smobilitazione della guerra, la retorica della vittoria mutilata, la crisi economica, il fenomeno della proletarizzazione degli strati intermedi, sarebbero le cause dei disordini della piccola borghesia durante e dopo la guerra, così come le origini del cosiddetto sovversivismo reazionario, trovò nel nazionalismo di D’Annunzio e nel fascismo di Mussolini la ragione della sua rivoluzione sociale.

Uno degli esempi più significativi di questo tipo di analisi sulla base sociale del fascismo in Gramsci si può trovare nell’articolo Il popolo delle scimmie (Il villaggio delle scimmie), pubblicato su “L’Ordine Nuovo” del 2 gennaio 1921 [8]. In questo articolo descrive la traiettoria della piccola borghesia italiana dagli anni ottanta dell’Ottocento fino alla nascita del movimento fascista. Con lo sviluppo del capitalismo finanziario questa classe perse la sua funzione nella produzione, diventando “pura classe politica”, specializzata in “cretinismo parlamentare”, sia con il giolittismo, sia con il riformismo socialista. Questa degenerazione della piccola borghesia corrisponde a quella del Parlamento, diventando una casa di discussioni demagogiche e scandali, un mezzo per il parassitismo. Un Parlamento corrotto che ispira sfiducia e perde progressivamente prestigio tra le masse popolari, portandoli a localizzare nell’azione diretta dell’opposizione sociale l’unico strumento di controllo e pressione per affermare la propria sovranità contro gli arbitri del potere. È così che l’intellettuale sardo interpreta la settimana rossa del giugno 1914. Attraverso l’interventismo, il nazionalismo e il fascismo di D’Annunzio, la piccola borghesia imita la classe operaia e scende in strada [9].

Un impeto di eventi, con la diffusione della violenza fascista nel paese, scrive Gramsci nell’articolo importante Sovversivismo reazionario (“L’OrdineNuovo” 22 giugno 1921, 1, n. 172), che definisce uno dei principali ritratti ideologici di Mussolini, al momento della sua prima parlamentare, quando rivendica la sua origine sovversiva. Secondo il leader comunista, sarebbe necessaria un’indagine rigorosa per filtrare il mito di Mussolini e collocarlo nella sua giusta dimensione umana e politica. Tra i suoi argomenti c’era l’esatta autodefinizione di Mussolini, per la prima volta,  come un blanchista.  Il blanchismo, come teoria sociale, è stato come il colpo di mano di un  minoranza armata dominatrice, e tanto il Mussolini sovversivo che quello reazionario, hanno  trovato un punto di assoluta continuità con l’ esternalità ideologica di questa dottrina, “l’idea di rivoluzione senza programma.” A questo punto, non vi era alcuna differenza tra il socialista Mussolini, protagonista della Settimana Rossa nel 1914, e una delle spedizioni delle squadre fasciste reazionarie [10].

Tra i suoi interventi più significativi e rappresentativi è stato sicuramente il discorso intitolato Origine e finalità della legge sulle associazioni segrete , uno dei suoi  pezzi fondamentali della connessione tra la sua produzione, prima e dopo la prigione, sul tema  fascismo / classi dirigenti. Si tratta del discorso pronunciato alla Camera dei Deputati il ​​16 maggio 1925,  contro il disegno di legge Mussolini-Rocco, che si proponeva di eliminare la Massoneria.

Tra gli altri, qui troviamo una questione particolarmente importante: quella legge secondo Gramsci era la prova che il regime non riuscì a fascistizzare l’intera borghesia e l’apparato statale. Ciò conferma l’insoddisfazione di Gramsci per le letture semplici e superficiali che descrivono un unico fronte monolitico e organico delle classi dominanti dietro il fascismo. Il fascismo ha voluto svolgere questa funzione di direzione centralizzata, ma c’erano ancora contraddizioni, quindi, l’eliminazione della Massoneria, ancora riunita in una parte significativa della borghesia, era funzionale al compito. La massoneria, date le modalità dell’unificazione nazionale e la debolezza della sua borghesia, apparve per Gramsci come l’unico partito reale ed efficiente che le classi dominanti italiane avevano da tempo. Era lo strumento principale attraverso il quale la borghesia difendeva  la creazione del nuovo Stato unitario liberale contro le minacce dal Vaticano e del suo braccio armato nel paese,  i gesuiti, dietro i quali erano  concentrate la maggior parte delle forze  reazionarie nel paese, sia al Nord che al Sud. La Massoneria, quindi, era l’organizzazione e l’ideologia ufficiale della borghesia italiana. Dichiararsi antagonisti a lei significa affermare di essere contro la sua principale tradizione politica e persino contro il Risorgimento , impensabile senza la sua presenza e centralità.

Un altro punto fondamentale sul tema del fascismo che collega la produzione di Gramsci prima e dopo il carcere si trova nelle famose Tesi  del Congresso di Lione, considerato l’asse della svolta politica dell’azione comunista in Italia in relazione alla concezione di partito e analisi della società [11]. In entrambi i casi, siamo di fronte al superamento completo delle tesi elaborate da Bordiga nel Congresso di Roma del marzo 1922, rivelatesi  totalmente incapaci di comprendere il pericolo fascista, nonché di costruire un’adeguata resistenza comunista alla sua ascesa.

Nelle tesi la debolezza dello Stato e della struttura sociale che la sostiene trovano origini ben definite, già rappresentando un’anticipazione della lettura della questione meridionale e dei Quaderni del carcere. L’Italia divenne uno Stato unitario principalmente per la concomitanza di situazioni internazionali favorevoli, usate in modo intelligente dai liberali di Cavour. Il rafforzamento dello Stato nato dal Risorgimento avvenne attraverso un compromesso tra capitalismo industriale e classi possidenti (grandi proprietari terrieri e piccola borghesia), e su cui la nuova nazione poteva esercitare un’egemonia molto limitata [12].

L’impegno, base dell’unità nazionale e che sosteneva il blocco storico delle classi dominanti, aveva il suo fondamento nello sviluppo ineguale tra Nord e Sud, motivo per cui l’arricchimento del primo era inversamente proporzionale all’impoverimento del secondo. Questo tipo di sviluppo è apparso per le popolazioni del Sud come una situazione coloniale, con la grande industria del Nord che ha assunto il ruolo delle metropoli capitaliste. I grandi proprietari agrari e la piccola borghesia del Sud avevano la stessa funzione degli strati sociali che nelle colonie si allearono con le metropoli per preservare la condizione di subalternità delle classi lavoratrici. Dalle origini dello Stato unitario, il compito delle classi dirigenti era proprio quello di mantenere questa condizione di soggezione dei subordinati.

Il fascismo trova un’unità ideologica e organizzativa nelle formazioni paramilitari che ereditano la tradizione di “arditismo” e la applicano ai guerriglieri contro le organizzazioni operaie. Per le Tesi, il fascismo realizza il suo piano di conquista dello stato con la mentalità del “nascente capitalismo”, quella che fornisce alla piccola borghesia un’omogeneità ideologica in opposizione ai vecchi gruppi dirigenti [13].

Ancora, con la presa del potere, il metodo fascista di difendere l’ordine, la proprietà e lo stato non riesce ad effettuare, prontamente e completamente, questo livello di centralizzazione della borghesia. Al contrario, la traduzione politica ed economica dei loro propositi produce molte resistenze nelle stesse classi dominanti. I due filoni tradizionali della borghesia liberale italiana si piegano completamente con l’ascesa al potere del fascismo. Questo spiega la lotta contro i gruppi non assimilati e contro la Massoneria. Nella sfera economica, il fascismo lavora totalmente a favore delle oligarchie industriali e agrarie, frustrando le aspettative della sua vera base sociale. Ciò accade nelle politiche commerciali, con il protezionismo, nella politica finanziaria, con la centralizzazione del sistema creditizio bancario a tutto vantaggio della grande industria, della produttività, con l’aumento dei piani di lavoro e la riduzione dei salari. Tuttavia, il vero punto di arrivo del fascismo è la politica estera e le sue aspirazioni imperialiste, in relazione al quale le Tesi descrivono un’idea che si concretizzerà quattordici anni dopo.14.

Il piano di studi  dei Quaderni del carcere

Già nel primo quaderno appare analizzato un tema che è organico  all’ intera opera di Gramsci, come la debolezza della classe dirigente italiana: l’interruzione nello sviluppo della civiltà comunale e mancanza di formazione di un moderno stato unitario , i limiti del Risorgimento, l’assenza di una dialettica parlamentare nell’era liberale, il fenomeno del trasformismo. Quest’ultimo, per Gramsci, non è solo un problema di cattive abitudini politiche, ma un preciso processo di cooptazione con cui, del Risorgimento al fascismo, le classi dominanti riuscirono a consolidare il loro potere attraverso la decapitazione di gruppi opposti allo stato. Queste analisi, che delineano i termini di una “biografia nazionale”, sono essenziali sia per la storia che per la scienza politica, e in esse sono contenute alcune tendenze che ciclicamente si ripetono nella vita politica italiana, specialmente nei periodi di crisi. Tuttavia, l’originalità che comportano è nella definizione dello Stato come una società civile ben organizzata. Ogni sistema di potere non è sostenuto solo dall’uso della forza, ma anche attraverso il consenso, cioè la capacità di formare politicamente, culturalmente e socialmente ciò che è consenso nell’opinione pubblica. E qui è la funzione essenziale degli intellettuali in una società moderna, il grande problema della società civile, una funzione articolata nella sfera di una sfera più ampia, definita anche come uno stato. Nei Quaderni del carcere, anche le riflessioni sul processo di unificazione nazionale italiana, il Risorgimento , hanno una prospettiva in cui le dinamiche delle conquiste egemoniche, in particolare attraverso la produzione storiografica e l’azione ideologica degli intellettuali, sono centrali. Da questa dinamica, Gramsci ha evidenziato le modalità di composizione delle classi dirigenti, attraverso un processo di cooptazione e l’assorbimento metodico di nuovi elementi emersi dalle nuove dinamiche sociali, che hanno segnato la storia d’Italia, il Risorgimento a il fascismo. In questo modo, inizialmente i gruppi ostili sono stati progressivamente e molecolarmente assorbiti dall’apparato statale fino a quando non sono diventati un supporto per esso. egemonia moderata sopra il Partito d’azione è, per Gramsci, uno dei temi più paradigmatici nella storia della classe dirigente italiana ed è, in generale,  uno di quelli cruciali per la comprensione del ruolo degli intellettuali nei momenti di definizione delle strutture di egemonia e di dominio di una società. Nei Quaderni, il trasformismo è stato delineato come una delle forme storiche fondamentali della coppia “rivoluzione-restauro” o “rivoluzione passiva”, nella formazione del moderno stato italiano. Il trasformismo costituiva un documento “storico-reale” della natura dei partiti che si presentavano come rivoluzionari nella fase dell’azione militante. La storia delle classi dominanti italiane, il Risorgimento , faceva parte di questa dinamica d’ora in poi, e Gramsci la divisero in due fasi distinte: a) dal 1860 al 1900, caratterizzato dal “trasformismo molecolare”, con l’assorbimento di numerose personalità politiche emerse nei partiti democratici in opposizione alle basi del dominio della classe politica moderato e conservatore; b) dal 1900 in poi, con il passaggio di interi gruppi per il campo dei moderati e dei reazionari, come nell’esempio del passaggio del sindacalismo rivoluzionario e dei gruppi anarchici per i ranghi del nazionalismo, durante la guerra della Libia e, successivamente, con interventismo. Questi concetti si articolano attraverso una prospettiva storica di più ampia portata nel Quaderno  10 dal titolo “Paradigmi della storia etico-politica”, secondo il quale, attraverso la trasformazione dello Stato e la creazione di corporativismo,  proprio il fascismo ha prodotto cambiamenti nella struttura produttiva nella direzione della socializzazione e della cooperazione nella produzione, senza intaccare le modalità individuali e private di appropriazione del profitto. Concretamente, ciò significava che, attraverso il fascismo, si cercava uno sviluppo delle forze produttive industriali, senza rimuovere la direzione delle mani delle classi tradizionali. L’Italia era il centro nevralgico della crisi della civiltà europea del dopoguerra e non a caso nacque il fascismo. E ciò che fanno i Quaderni  è solo analizzare le cause e gli effetti di questo processo. Quando una classe perde consenso e cessa di essere  leader, limitandosi ad essere dominante attraverso l’uso della forza, significa che le grandi masse sono evidenziate dalle ideologie tradizionali e dai valori delle vecchie parti. Ecco perché Gramsci sintetizza la crisi che si apre dopo la guerra con questa frase che è diventata molto famosa: “il vecchio muore e il nuovo non può nascere”.

Concludendo, tutto il lavoro di Gramsci (lettere, articoli, documenti politici, note) ci conduce a un quadro organico intimamente segnato dal dramma del fascismo. E nello studio di questo lavoro è necessario sapere come identificare le differenze qualitative tra i materiali, come quelli scritti prima e dopo l’avvento del fascismo. Possiamo affermare che i Quaderni sono un lavoro più sistematico, che cerca di tornare alle cause più profonde del fascismo. Tuttavia, questo lavoro sviluppa e articola alcune intuizioni già ben presenti negli scritti che precedono la sua prigionia. Non sono il frutto di una svolta ideologica, né, ancor meno, il risultato della loro distanza dal mondo politico a cui hanno dedicato la loro intera esistenza. Il fascismo era una forma moderna di potere autoritario rispetto ai vecchi regimi reazionari, data la sua costante ricerca del consenso popolare e l’abile uso della demagogia. Il corporativismo rientra in questa esigenza e, nonostante la sua presenza fin dall’inizio del movimento, non dobbiamo dimenticare che la teoria del “terzo sistema” (né il comunismo né il capitalismo) è stato sviluppato solo dopo il 1930, con l’obiettivo di affrontare la crisi e il malcontento popolare, date le peggiori condizioni di vita e lavoro prevalenti. L’affermazione della parità tra capitale e lavoro era solo retorica e la richiesta di riconciliare gli interessi opposti, in realtà nascondeva il compito primario di sopprimere il conflitto sociale della soggettività politica dei lavoratori. La caratteristica più moderna del progetto autoritario del fascismo è la capacità di aprire nuove trincee per il compito di controllare le masse. Ed ecco il ruolo delle parole d’ordine, mirate alla ricerca di un futuro di grandezza. Pertanto, la capacità di esercitare anche il controllo e la direzione, parlando con le categorie di Gramsci: forza più egemonia. Il nuovo uomo fascista non era un individuo che divenne cosciente da se stesso e il padrone  del proprio destino, ma il soldato-cittadino, che svuota la propria individualità per essere assorbito integralmente nella comunità totalitaria [16]. Ecco perché il regime centralizzava le funzioni educative con la riforma scolastica portata avanti dal filosofo fascista Giovanni Gentile. E ha organizzato strutture come i “figli della lupa” e i giovani “balilla” per bambini e giovani, gruppi di studenti universitari fascisti, i “littoria” della cultura, il lavoro del post-lavoro fascista e molte altre articolazioni con il compito di garantire sempre una partecipazione passiva alla vita politica e culturale del regime. Il fascismo è una nuova e moderna forma di regime autoritario, tipico di una fase storica segnata dalla politica di massa, perché impone il compito di coinvolgere il popolo in tutte le manifestazioni di esistenza e auto-rappresentazione del regime, organizzando tutti gli aspetti del vita individuale basata sull’interesse nazionale. Il fascismo investì enormi risorse per sviluppare un’industria autonoma del cinema nazionale, capace di diffondere valori culturali indipendenti dallo standard dell’altra grande industria mondiale, quella degli Stati Uniti. Così sono stati creati i grandi studi di Cinecittà e il Festival Internazionale del Cinema di Venezia, gettando le basi di una grande tradizione che ha trovato la sua fase di maggior successo e lo sviluppo dopo la seconda guerra mondiale. L’aspetto più moderno del fascismo è esattamente l’uso degli strumenti della comunicazione di massa, del cinema, della radio, dei giornali, delle arti figurative, per costruire il consenso e il mito dell’invincibilità del Duce . Per questo viene costituito il Ministero della cultura popolare, della stampa e della propaganda, che sarà una fonte d’ispirazione fondamentale per il regime nazionalsocialista di Hitler e in particolare per il suo propagandista Goebbels.

 

* Gianni Fresu è  professore di filosofia politica presso l’Università Federale di Uberlandia (Brasile), Dottore in Filosofia di ricerca presso l’Università di Urbino (Italia).

In aggiunta ai numerosi articoli e saggi ha pubblicato in Italia, i seguenti titoli:

Il diavolo nell’ampolla, Antonio Gramsci gli intellettuali e il partito, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, La Città del Sole, Napoli, 2005; Lenin lettore di Marx. Determinismo e dialettica nella storia del movimento operaio, La città del Sole, Napoli, 2008; Otre la parentesi. Fascismo e storia d’Italia nell’interpretazione gramsciana, Carocci, Roma, 2009; La prima bardana. Modernizzazione e conflitto nella Sardegna dell’Ottocento, Cuec, Cagliari, 2011; Eugenio Curiel: il lungo viaggio contro il fascismo, Odradek, Roma, 2013-14. In Brasile ha pubblicato:  Lenin leitor de Marx. Determinismo e dialética na história do movimento operário, São Paulo, 2016, y Nas trincheiras do Ocidente. Lições sobre fascismo e antifascismo, UEPG editora, Ponta Grossa, Paraná, 2017.

 [1] Nel Quaderno 13 Gramsci chiarisce che la formula della “rivoluzione permanente” sorse prima del 1848, come un’espressione scientificamente elaborata delle esperienze “giacobina”, e più in generale corrisponde a una fase molto arretrata della società e della campagna , in cui vi è uno sviluppo limitato della società civile e dell’apparato egemonico delle classi dominanti. In questa fase, non ci sono ancora grandi partiti politici o sindacati e c’è una maggiore autonomia nazionale delle economie nazionali e degli apparati egemoni militari-stato-militari. Questa fase cambia radicalmente nel 1870 con l’espansione coloniale europea, quando entrambe le relazioni interne degli Stati e le loro relazioni esterne diventano più complesse e articolate, mentre nella sfera politica si osserva lo stesso cambiamento verificatosi nell’arte militare, con la formula della “rivoluzione permanente” superata dall’egemonia civile, cioè dalla “guerra di movimento alla guerra di posizione” “. Gramsci, A.Quaderni del carcere , Einaudi, Torino, 1977.

[2] Gramsci, A. Per una ristrutturazione del Partito socialista , “L’Ordine Nuovo”, II, 1, 8 maggio 1920. In L’Ordine Nuovo 1919-1920, Einaudi, Torino, 1978, p. 510.

[3] Gramsci, A. Lottadi classe e guerra, «Avanti!» Ed. piemontese, 19 agosto 1916.

[4] Gramsci, A. Scritti giovanili 1914-1918, Einaudi, Torino, 1975, p. 41.

[5] Id. Ib. 49.

[6] Id. Ib., P. 67.

[7] Gramsci, A. L’Ordine Nuovo 1919-20, Einaudi, Torino, 1987. p. 351

[8] Gramsci, A. Socialismo e fascismo , Einaudi, Torino 1978. P. 9.

[9] Id. Ib. p. 10

[10] Id.Ib., p. 206.

[11] Il Congresso di Lione ha luogo dopo la Conferenza Nazionale di Como – città della Lombardia – nel 1924, che ha portato Gramsci a diventare leader del partito.

[12] Id. Ib., Pp. 491, 492.

[13] Id. Ib. p. 495.

[14] Id. Ib., P. 497.

15] Gramsci, A. Cadernos do Cárcere , Einaudi, Torino, 1975, p. 1229.

[16] Gentile, E. La via italiana al totalitarismo . Roma: Carocci, 2008, p. 148.

Un pensiero su “Gramsci e il fascismo

  1. Il fascismo (così come il nazismo ed ogni regime reazionario/mafioso/bancario) non è nient’altro che la reazione dei potenti contro il popolo. Ovvio, servivano delle maschere (discorsi alle masse, fare movimentismi vari, simulare rivoluzioni) ma erano solo per celare compromessi di ogni tipo (mafia, massoneria, vaticano, finanza, ecc…). Un livello di corruzione e mafia nello Stato, da far invidia allo schifo di oggi. Un regime fascista è l’unico modello di politica che supera (come schifo) le vecchie monarchie aristocratiche. Un Re, rispetto ad un Dux, è un agnellino 😀

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