di Giorgio Raccichini
La parola “sovranismo” viene utilizzata sempre di più per condannare senza possibilità di appello qualsiasi visione critica nei confronti dell’Unione Europea. Se la si analizza attentamente, risulta tanto usata quanto priva di significato. Si tratta di un significante senza significato, cioè una non parola. La parola è strettamente connessa al concetto di sovranità, cioè di esercizio del potere da parte di un’organizzazione politica. Quale forza politica, tra quelle che abusano della parola “sovranismo”, non accetta una qualche forma di sovranità? Che sia esercitata da uno Stato nazionale o da qualche organismo sovranazionale poco importa: esiste sempre un soggetto che esplica un potere sovrano. La dicotomia “sovranisti contro non sovranisti” dovrebbe pertanto essere riformulata: da una parte ci sono i sovranisti che identificano il centro del potere negli organismi dell’Unione Europea e dall’altra i sovranisti che affermano il primato dello Stato nazionale. Quale dei due tipi di sovranità garantisce alle classi lavoratrici la possibilità di incidere di più e affermare i propri interessi? Questa è la domanda a cui occorre rispondere. Non c’è dubbio che allo stato attuale, a patto che ci sia una lotta organizzata delle classi lavoratrici, è nello Stato nazionale che i lavoratori hanno maggiore capacità di incidere e far valere i propri interessi.
Che i sovranisti europeisti siano maggiormente “progressisti”, nel senso di fautori di una politica di pace e favorevole agli interessi dei lavoratori, è tutto da dimostrare, dal momento che le istituzioni europee rappresentano indubbiamente gli interessi del grande capitale europeo e, in politica estera, sono completamente appiattite sulle posizioni guerrafondaie degli Stati Uniti e portatrici di una visione neocoloniale dei rapporti internazionali. Coloro che affermano la priorità dello Stato nazionale non sono nemmeno tutti uguali. La categoria di “sovranismo” li mette tutti insieme in quanto esecrabili senza andare a vedere il contenuto delle loro politiche. Così, per esempio, ha fatto di recente un noto politico italiano ex PD, ora in Mdp, il quale ha affermato, senza mezzi termini, che tra i banchieri e i sovranisti sta con i primi. La sovranità statale può portare ad uno Stato dai caratteri marcatamente nazionalisti e xenofobi, sostenitore feroce del capitale nazionale e fautore di politiche contrarie agli interessi dei lavoratori. Si tratterebbe di uno Stato che, in un territorio più ridotto, riprodurrebbe i mali dell’Unione Europea. D’altra parte la sovranità nazionale, in Italia, può essere intesa come sovranità costituzionale. Si tratterebbe cioè di rimettere al centro la battaglia per l’applicazione della Costituzione italiana, creando le condizioni perché i lavoratori recuperino la forza politica, sociale ed economica persa progressivamente negli anni di costruzione dell’Unione Europea. Non sarebbe questo uno Stato richiuso in se stesso, ma internazionalista, cioè capace di costruire rapporti di cooperazione con tutti i Paesi del mondo, una sorta di ponte verso quei Paesi in Via di Sviluppo con i quali è possibile realizzare un presente e un futuro di pace e benessere.