continua la mostra di Delfina Tromboni
Staffette in azione 1.
I Gruppi di Difesa della Donna“Intanto arrivò l’inizio del ’44 ed anche per me giunse il momento di dare il mio contributo alla lotta partigiana. Per prima cosa mi si chiese di organizzare un primo Gruppo di Difesa della Donna, cosa che feci con non poca fatica, ma ci riuscii. Il primo gruppo fu formato dalla sottoscritta e dalle compagne come Massimi Mafalda, Bovina Soigge, Gighi Vanda, le sorelle Pescerelli Maria Luisa e Silvana che si trovavano sfollate a Poggio Renatico. Verso la primavera con questo piccolo gruppetto avvenne il primo incontro e riunione tenuta dal compagno Putinati, che ci spiegò i rischi che correvamo accettando di prendere parte al movimento di liberazione. Detto incontro avvenne in una strada di campagna andando verso Raveda e così fu sempre, ogniqualvolta si cambiava posto.Da quel momento sono diventata staffetta.Uno dei compiti di noi del gruppo era diffondere la stampa di propaganda in ogni luogo. Si aspettava la sera, e con la sera l’allarme, in quanto in mezzo al fuggi fuggi della gente il nostro compito veniva facilitato. Ricordo che una sera volli sfidare la sorte ed entrai nel cortile della caserma e da una finestra buttai materiale a più non posso; non contenta mi portai sotto casa dell’allora repubblichino Luigi Carletti, armata di pazienza ed anche col batticuore piano piano ne infilai tutta quella che passava, infine coprii giardino e cortile.Sempre nell’estate del ’44 fui invitata a partecipare ad una riunione di coordinamento con la presenza del compagno Malaguti, conosciuto col nome di battaglia di “Vitale”. Da questa riunione venne concordato di organizzare uno sciopero in piazza e più precisamente portarci nel cortile del Comune. Detto sciopero era proclamato per la mancata distribuzione di generi di prima necessità, come l’olio, lo zucchero, il pane, il combustibile…Da questo incontro uscì l’intesa di essere affiancate dalle compagne di San Venanzio. Da parte nostra ce la mettemmo tutta facendo un lavoro capillare sul luogo di lavoro: tutte le donne sembrava ci dessero il loro appoggio; noi, già fiduciose, vedevamo il nostro primo sciopero finire in una vittoria. Ma il mattino del giorno stabilito ci trovammo noi del gruppo con qualcuna nuova ed una decina di compagne di San Venanzio capeggiate dal compagno “Cianén” in calzoncini corti, che sembrava un ragazzo di dodici, tredici anni. Vista la scarsa partecipazione, piuttosto che incorrere in un fallimento con gravi conseguenze, concordammo di rimandare ad altra data”.(Bianca Venturoli, staffetta di Poggio Renatico. Nel 1943 aveva 20 anni). Quello che Bianca Venturoli racconta è il primo tentativo di organizzare nel Poggese una manifestazione di donne. Un secondo tentativo si ebbe nella primavera del 1945 e così ne parla la “Relazione alla conferenza clandestina del Partito comunista” , tenutasi a Ferrara il 17 marzo 1945 e stilata da Spero Ghedini, nomi di battaglia “Antonio” e “Valdo”, Commissario politico della 35° Brigata Garibaldi “Bruno Rizzieri”:“La relazione che fa il compagno della zona occidentale della provincia…è la più ampia e la più obbiettiva. Riferisce che in generale ci sono le condizioni per la realizzazione di un buon lavoro…Parla anche del problema delle donne, dice di aver avvicinati diversi gruppi che vogliono fare…Riferisce che con la manifestazione fatta a Bondeno si è avuta l’esperienza per sviluppare tutta una serie di manifestazioni in tutta la provincia, esponendo il piano per una manifestazione organizzata a Poggio Renatico, che deve essere fatta imminentemente”.La Liberazione giunse a Poggio Renatico il 21 aprile, prima che il progetto trovasse realizzazione. La testimonianza di Bianca Venturoli è stata pubblicata per la prima volta nell’ “Album storico della Resistenza poggese”, realizzato con materiali originali da Triestino Mazzoni, nome di battaglia “Nilo”, poggese scampato all’eccidio di Corfù nelle isole greche, partigiano in Friuli, internato nel campo di concentramento di Norimberga. Riconosciuto Partigiano combattente, nel 1943 aveva 22 anni.All’inizio degli anni ’80 del Novecento l’Album storico è stato pubblicato a cura dell’ANPI di Poggio Renatico in: “La Resistenza Poggese 1943-1945”, in collaborazione con il Centro Studi Resistenza Ferrarese. Da lì abbiamo tratto la citazione della Conferenza clandestina del PCI.

Staffette in azione 2.
La rivoltella “Siamo fra luglio e agosto del ’44; un giorno ricevo l’ordine di andare a Coronella per ritirare una rivoltella a casa di una persona che io ritenevo fascista. Confesso che l’idea non mi garbava troppo, parola d’ordine era diffidare di tutti. Avuta la rassicurazione dei compagni, andai.Ma sorse allora il problema del mezzo di trasporto, avendo tutti biciclette scassate con copertoni a pezzi oppure rattoppati con tela da lenzuola. Date le mie condizioni fisiche necessitavo di un mezzo sicuro. A questo punto il compagno Lambertini mise a disposizione una bicicletta nuova con mille raccomandazioni di non farmela prendere per nessuna ragione al mondo. Perdere la bicicletta significava perdere un bene prezioso, essendo l’unico mezzo che ci permetteva di restare in contatto con altri distaccamenti.Insomma, per farla breve partii con un grembiule tutto scollato. Questi erano gli ordini:per non destare sospetti la rivoltella la dovevo tenere in seno. Era la prima volta che venivo a contatto con un’arma, quindi era anche umano avere fifa. Il momento più pericoloso lo passai nel ritorno trovando lungo la strada una fila di soldati mongoli che a quei tempi si diceva fossero i più terribili nel fare razzìe. Io, con un sorriso stampato sulle labbra e tanto batticuore, passai in mezzo a loro salutandoli con cenni di mano e me li lasciai alle spalle con un sospiro di sollievo.Mi era andata bene, avevo salva sia la rivoltella che la bicicletta.(Bianca Venturoli, staffetta di Poggio Renatico. Nel 1943 aveva 20 anni). La testimonianza di Bianca Venturoli è stata pubblicata per la prima volta nell’ “Album storico della Resistenza poggese”, realizzato con materiali originali da Triestino Mazzoni, nome di battaglia “Nilo”, poggese scampato all’eccidio di Corfù nelle isole greche, partigiano in Friuli, internato nel campo di concentramento di Norimberga. Riconosciuto Partigiano combattente, nel 1943 aveva 22 anni.All’inizio degli anni ’80 del Novecento l’Album storico è stato pubblicato a cura dell’ANPI di Poggio Renatico in: “La Resistenza Poggese 1943-1945”, in collaborazione con il Centro Studi Resistenza Ferrarese. Da lì abbiamo tratto la citazione della Conferenza clandestina del PCI.

Staffette in azione 3.
Il sequestro. Pia Galliera e Armida Bizzi sono le staffette militari che, insieme agli uomini dei GAP (Gruppi di Azione Patriottica) di Gavello e Scortichino organizzarono il sequestro del Podestà di Bondeno per scambiarlo con le donne arrestate durante la manifestazione di piazza del 18 febbraio 1945.Pia, riconosciuta partigiana combattente dal giugno 1944 alla Liberazione, era una piccola commerciante, sposata, con due figli: una ragazza adolescente ed un bambino in tenera età. Operava come staffetta di collegamento trasportando armi, munizioni e materiali di vario tipo per rifornire il GAP di Gavello, costituitosi nel gennaio 1944. Nella sua casa si riuniva, fin da prima dell’8 settembre 1943, una cellula clandestina di comunisti e durante la Resistenza si ascoltava Radio Londra. Lei affiggeva i manifestini clandestini sui muri della sua stessa casa e, approfittando della sua attività di esercente, raccoglieva informazioni dai militi fascisti e dai tedeschi, che poi passava ai partigiani. Nel 1943 aveva 33 anni. Armida, riconosciuta partigiana combattente dall’ottobre 1944 alla Liberazione, era una fruttivendola. Nella Resistenza ha operato agli ordini del partigiano Jugoslavo “Boris” come staffetta di collegamento tra i GAP di Scortichino, Gavello e Bondeno, trasportando armi e munizioni. Nel 1943 aveva 22 anni.Testimonia Nino Bergamini, a capo del GAP di Scortichino:“In caso di arresto delle donne il CLN aveva dato l’impegno al mio gruppo di Scortichino di arrestare il Podestà, insieme al gruppo di Gavello. I gruppi si organizzarono e lo cercarono a casa, ma il Podestà Gulinelli era alla Casa del fascio di Gavello. Con un sotterfugio riuscirono a farlo rientrare in casa , lo fermarono, aveva due bombe a mano e una rivoltella, lo portarono in campagna. In quel momento passò una macchina e i fascisti di Gavello dissero che erano arrivati i partigiani da Modena e che l’avevano portato in quella città. Invece era in un capanno nelle valli.Lo trattenemmo tre giorni e tre notti, gli facemmo scrivere una lettera perché le donne fossero liberate. In quei giorni il podestà stracciò la tessera del fascio e fece testamento. La Brigata nera, però, non liberava le donne; allora il CLN diede carta bianca ai partigiani che gli proposero di lasciarlo libero purché si impegnasse a liberare le donne e, in futuro, a difendere gli impianti industriali di Bondeno (Zuccherificio, Consorzio canapa, Consorzio grano) perché i raccolti non andassero in Germania. Dopo tre giorni dalla sua liberazione le donne furono liberate…Dopo il 18 fu assicurata l’assistenza alle donne che avevano pagato molto cara la partecipazione alla manifestazione”.Come andò? Andò che già il 17 febbraio una delle organizzatrici della giornata preinsurrezionale, Nerina Garosi, nomi di battaglia “Nera” e “Bianca”, cadde nelle maglie di un feroce rastrellamento mentre cercava, insieme ad Elsa Gavioli, nome di battaglia “Lina”, di avvisare i compagni perché si mettessero in salvo. Nerina era una bracciante di Burana di 35 anni che nella sua casa teneva riunioni di donne dei Gruppi di Difesa e nascondeva i partigiani ricercati, trasportando nel contempo con la sua bicicletta stampa clandestina, armi e munizioni e tenendo i collegamenti tra i vari GAP della zona e il Comando di Brigata. Nel terreno attorno alla sua casa aveva sepolto armi che furono scoperte nell’occasione del primo arresto. Già nota alle autorità, che l’avevano schedata come antifascista fin dagli anni’30 , Nerina rimase in carcere fino al 30 marzo 1945, subendo sei interrogatori “coi metodi della Brigata Nera”. Fu nuovamente arrestata il 2 aprile e trattenuta in carcere per altri 10 giorni, partecipando poi alla liberazione del suo paese. Riconosciuta partigiana combattente dall’ottobre del 1943 alla Liberazione, alla caduta del fascismo il 25 luglio 1943 aveva organizzato un corteo di donne “con la bandiera in testa”. Anche Elsa, 32 anni, fu arrestata una prima volta: liberata solo il 30 marzo, dopo essere stata brutalmente percossa e seviziata “da un certo Walter detto il Mongo”, si fece lei pure altri dieci giorni di carcere ad aprile. Andò inoltre che durante la manifestazione del 18 febbraio il manipolo di brigatisti neri accorsi per sedarla si mise a sparare ferendo alla gamba destra la ventenne Ansa Turchi, che trovò rifugio in una casa grazie all’aiuto di un’altra manifestante, Antonietta Bignardi. Medicata clandestinamente dal medico Dr. Franco Calogero, verrà poi arrestata e incarcerata. Entrambe di Scortichino ed entrambe braccianti, solo Ansa verrà riconosciuta come Partigiana combattente ferita.Al fianco sinistro fu ferita anche la diciannovenne Lina Mantovani, semplice manifestante.Furono invece tratte in arresto le sorelle Berta e Ines Polastri, braccianti, rispettivamente di 21 e 33 anni; Linda Marchetti; la diciassettenne Artemisia Brugnara; Odolea Resca e la bracciante venutnenne Elisena Bergamini, che impazzì per le percosse subìte in carcere.Come si vede, nessuna donna fu liberata “dopo tre giorni”, come ricorda invece, certo a distanza di anni, l’ex capo GAP.
