
«Quando fui arrestata dalle SS avevo appena compiuto ventun anni». E quando viene catturata – un pomeriggio del 12 settembre 1944, tradita da un partigiano passato al nemico – lei è gappista da un anno, «ero entrata a far parte dei Gruppi di difesa della Donna, un’organizzazione femminile che si occupava di raccogliere denaro, cibo, vestiti e tutto ciò che potesse servire ai partigiani». Il comandante del suo Gap è un certo Visone (scoprirà dopo che il vero nome è Giovanni Pesce). Giorni da staffetta, ragazza in bici che in borsa nasconde anche roba molto proibita, «un giorno incappai nei “marò” della San Marco. Erano in piazza Ludovica e controllavano tutti. Quando me ne accorsi, ero ormai troppo vicina per allontanarmi senza destare sospetti. Avevo con me due pistole». Quella volta la sfanga.Tradita, arrestata, verranno per lei i giorni nel quinto braccio di San Vittore; degli interrogatori a colpi di gatto a nove code («dolorante, semi svenuta, credo di aver urlato molto»); del campo di concentramento di Bolzano, «numero di matricola 6087, col triangolo rosso dei politici, fui destinata al blocco F».
Norina e gli altri. Il suo lessico familiare e quello politico che si incontrano subito e si “riconoscono”, naturalmente. «Sono di famiglia operaia, di orientamento antifascista, comunista». Poveri, modesti lavoratori. Squarci di primo Novecento popolare e contadino in terra lombarda. Quel trasloco forzato – «si diceva “fare san Martino”» – ogni 3 novembre «perché bisognava trovare un altro padrone e un’altra cascina»; quelle vecchie cascine senza acqua corrente e senza servizi e i cortili di terra battuta che diventavano fango, «dove i bambini vivevano nella polvere, insieme ai polli e agli altri animali». E suo padre che, «dopo la terza elementare l’avevano mandato a fare il garzone in una bottega di calzolaio»; a martellare per qualche soldo «i chiodi storti, per raddrizzarli e riutilizzarli»; ma lui, che voleva andare a giocare con gli altri bambini, «invece di raddrizzarli, i chiodi li sotterrava».
Quel padre a cui lei dedica poche righe dimesse, quasi senza aggettivi, e tuttavia colme di celata ammmirazione e gratitudine: quel padre che, operaio specializzato alla Bianchi, preferisce patire anni di disoccupazione e miseria perché «si rifiuta di prendere la tessera del partito fascista»; al quale nel ’29 viene proibito di votare; e che, dopo l’8 settembre, «si collega ai gruppi della Resistenza che agivano all’interno della fabbrica».
C’è Narva, «una comunista di vecchia data, con anni di attività clandestina alle spalle»; c’è la signora Maria, la proprietaria della stanza ammobiliata in via Macedonio Melloni che Visone aveva affittato e che «fece sempre finta di non capire chi fossimo, rischiò parecchio perché nella sua soffitta, tra le solite, vecchie cianfrusaglie, c’erano pistole, munizioni, l’arsenale dei Gap».
E c’è Tornelli, l’operaio della fabbrica al Vigentino al quale «passavo clandestinamente i volantini per lo sciopero del marzo ’43»; e la Anna Gentili, la ragazza che a Porta Venezia il 25 luglio «salì su un carro armato» tra gli applausi della folla, «in seguito divenne staffetta con il nome di battaglia Lidia. Oggi è ancora viva, ha novant’anni». Quei nomi, quei volti. Come Libero Temolo, «un comunista coraggioso, capo cellula alla Pirelli»; e come Salvatore Principato, socialista, «due dei 15 compagni fucilati a piazzale Loreto»; come Egisto Rubini, il primo comandante del 3° Gap di Milano che, arrestato e torturato senza che riuscissero ad estorcergli un nome, «temendo di non poter resistere a un altro interrogatorio», si è tolto la vita, impiccandosi».
«Venni tra gli uomini al tempo della rivolta e mi ribellai con loro», dice Brecht nella famosa poesia. E anche lei. 2 settembre 1944, è il Corriere della Sera a dare la notizia: «Il commissario addetto all’ufficio politico Domenico De Martino è stato ucciso alle ore 13 in via Telesio». C’entrano i Gap. C’entra anche lei. Era il tempo della rivolta.

Il libro è finito. «Oggi ho ottantasette anni. Non ho rimorsi. Ho un rimpianto, ma non voglio parlarne. Quando cala il sole chiudo le persiane, perché non amo il buio della notte». Norina e i suoi compagni, gran bella gente. 17/12/2010.
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