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Donne restiamo a casa, seguiamo rigorosamente l’isolamento sociale che aiuta a combattere il coronavirus – ma non dimentichiamo di denunciare la violenza domestica.
di Flavia Costa*
traduzione di Marica Guazzora
La pandemia di Covid-19, causata in tutto il mondo da nuovo virus, ha evidenziato un fatto che è strutturato nella società e porta alla morte migliaia di donne. Si tratta di violenza contro le donne o, in questo caso specifico, di violenza domestica. Secondo il Ministero delle Donne della Famiglia e dei Diritti umani, dopo l’isolamento sociale, la violenza contro le donne è cresciuta del 9%. Il 6 aprile, il Segretario generale delle Nazioni Unite (ONU), António Guterres, ha fatto un appello globale chiedendo che si proteggano donne e bambini, data l’esacerbazione della violenza dovuta al confinamento.
La preoccupazione è reale e d’emergenza per noi, brasiliane e brasiliani, poiché nella classifica mondiale di morte delle donne siamo il quinto paese. La necessità del confinamento è insindacabile, ma è anche indiscutibile, in questo nuovo contesto, la coesistenza di due fenomeni che influenzano storicamente la vita delle donne: la relazione di oppressione sul genere e la costruzione della mascolinità.
Ma cos’è il genere? È quell’ insieme di relazioni, attributi, ruoli, credenze e atteggiamenti che definiscono cosa significa essere una donna o un uomo nella vita sociale. Nelle società in generale, le relazioni di genere, quando disuguali, tendono ad approfondire le disuguaglianze sociali e la discriminazione di classe, razza, età, orientamento e identità sessuale, etnia, disabilità, lingua o religione, e quant’altro.
Possiamo salvare, in questo momento di crisi pandemica e, di conseguenza, economica, la storica dichiarazione della femminista francese Simone de Beauvoir (1908-1986): ” E’ sufficiente una crisi politica, economica e religiosa per mettere in discussione i diritti delle donne” . In questi giorni tutto cade con maggior forza sulla vita delle donne. E peggio ancora lì, nel confinamento delle strutture periferiche, quando disaggreghiamo le informazioni, sono le donne di colore quelle che subiscono di più.
“Non è la violenza che crea cultura”, afferma la sociologa Luiza Bairros, ex ministra del SEPPIR (Segretariato delle Politiche per la Promozione dell’Uguaglianza Razziale). “È la cultura che definisce che cosa è violenza. Sarà violenza in misura maggiore o minore, a seconda del punto in cui siamo come società umana, è quello il punto di comprensione su cos’è o non è la pratica violenta”.
Pertanto, dobbiamo informare e formare. Nel 2019, ci sono stati 3.739 omicidi intenzionali di donne – un calo del 14,1% rispetto al 2018. Nonostante ciò, c’è stato un aumento del 7,3% di casi di femminicidio – crimini di odio motivati dal genere. È una questione culturale che si è stata rafforzata nei secoli.
In una condizione di confinamento come quella in cui stiamo vivendo ora, emerge la reattività, relazioni tossiche che si trasformano in imprecazioni, spinte, umiliazioni e violenza fisica spesso seguite dalla morte. Tanto che le denunce sono già cresciute, secondo i dati del Difensore Civico Nazionale per i Diritti umani (ONDH), un organo collegato al Ministero delle Donne, della Famiglia e dei Diritti umani.
Nei primi 16 giorni di marzo – cioè nella fase di isolamento pre-sociale – il Mediatore ha ricevuto una media giornaliera di 3.045 chiamate e 829 denunce registrate. Nel periodo immediatamente successivo all’isolamento, dal 17 al 25 marzo, sono state registrate 3.303 chiamate e 978 denunce.
I diritti conquistati sono stati calpestati di nuovo!
Il Patto per Combattere la violenza contro le Donne – che prevedeva bilanci pubblici e azioni mirate alle politiche pubbliche per le donne – è svanito. Questa battuta d’arresto si verifica proprio quando abbiamo bisogno, più che mai, di dispositivi di protezione per le donne, come Centri, Rifugi, Case della donna brasiliana e Stazioni di Polizia a Difesa della donna. Anche se in isolamento, le donne brasiliane non possono fare a meno di attrezzature che abbiano la capacità di accogliere e di curare.
Affinché lo Stato possa affrontare la violenza contro le donne, è essenziale intensificare le azioni di rete, concentrandosi su tre pilastri: Protezione (assistenza / cura), Prevenzione (educazione di genere, autonomia e responsabilizzazione) e Punizione (accesso alla giustizia e estensione dei diritti). In una rissa tra marito e moglie,”metti sempre il cucchiaio”.
Occorre una comunità di donne, occorre empatia, perché donne e uomini, nella loro diversità e pluralità, raggiungano un mondo di pace.
In caso di violenza domestica, occorre segnalare telefonicamente (tramite il 180 – Centro servizi per le donne), oppure via Internet ( sul sito web del Difensore dei Diritti Umani ) o tramite l’applicativo BR per i Diritti umani (disponibile per i sistemi Android e iOS). Sul sito web del Mediatore, oltre alla registrazione degli eventi, la piattaforma consente anche l’invio di video, foto e audio.
Donne, stiamo in casa, in isolamento sociale aiutiamo a combattere il coronavirus. Ma non evitiamo di denunciare le violenze domestiche contro di noi o contro altre donne. Cercare supporto da strutture pubbliche specializzate è sempre l’opzione migliore.
Oppure, come afferma una grande campagna sui social media: “Donna, stare a casa non significa stare in silenzio”.
* Pedagoga, è componente del Consiglio nazionale di UBM (Unione brasiliana delle donne) e direttrice statale della Comunicazione dell’Unione dei neri per l’uguaglianza (Unegro-SP). È stata Segretaria del Patto per la lotta alla violenza contro le donne nello stato di San Paolo.