da Redazione PCI Torino
Nonostante sia in vigore il divieto di licenziamento, ciò accade sempre più frequentemente, anche negando ai lavoratori la possibilità di accedere alla cassa integrazione per covid.
La procedura è la seguente: senza più ordini, si dichiara il fallimento, procedendo con cessazioni di rami d’azienda e firmando accordi che registrino che non ci siano possibilità di rimettere in atto la produzione, con migliaia di famiglie che finiscono, così, senza prospettive, con situazioni in cui, soprattutto nelle piccole e medie imprese, a scarsa presenza sindacale, ai lavoratori viene intimato di stare a casa, con permessi non retribuiti. È successo alla Pininfarina Engineering, alla Goldoni, alla cooperativa Vega, alla Betafence, alla Treofan ed in una miriade di piccole società.
Intanto, mentre ciò succede, le fabbriche vengono sempre più colpite dal contagio del virus covid.
Mentre il tracciamento, ormai, non funziona ed i tempi di attesa per i tamponi sono sempre più lunghi, gli stabilimenti produttivi rappresentano, con i contatti sempre più stretti tra i lavoratori, i luoghi a maggior rischio contagio.
Secondo un’indagine della Fiom, effettuata alla fine di ottobre, su 167 aziende monitorate, in 79 di esse, ci sono lavoratori contagiati o in quarantena fiduciaria. Soltanto in 66, ci sono protocolli per la sicurezza definiti con le rappresentanze dei lavoratori, ed appena 63 aziende utilizzano lo smart working negli uffici, per il 50% degli impiegati.
Le aziende rimangono, quindi, i luoghi di massimo assembramento e, quindi, di occasioni di contagio.
Non sono queste, buone motivazioni, per l’attuazione di un lockdown che coinvolga anche le attività produttive, al fine di evitare quei ” danni economici ” che tanto si dichiara di temere, da parte delle autorità politiche di governo, di ogni livello ??!!!
