di Dario Ortolano
Ogni uomo, nel momento in cui cessa la propria esistenza, porta con sé il retaggio del passato di cui è stato artefice e protagonista. Gorbaciov è stato l’ultimo Presidente della Unione Sovietica, nel periodo dal 1985 alla notte del Natale del 1991, quando, dalle mura del Cremlino, venne ammainata la bandiera rossa, per decenni simbolo della vittoriosa Rivoluzione socialista d’Ottobre del 1917, che permise, per la prima volta nella storia, la costruzione dello Stato fondato sul potere degli operai, dei contadini e dei soldati.
Fin dall’inizio del suo mandato, Gorbaciov caratterizzò la sua azione con la promozione di un movimento ” critico ” nei confronti della Unione Sovietica, del suo assetto socioeconomico ed istituzionale.
Sul piano economico, fondò la sua azione, sul fatto che si registrassero, ormai, nel Paese, i segni di una ” stagnazione ” ereditata dall’ultima fase del periodo brezneviano.
Sul piano istituzionale, sottolineò, sempre più insistentemente, la eccessiva ” centralizzazione ” del potere politico, mentre sul piano sociale, il motivo di fondo sollevato fu la ” carenza ” di organi di esercizio di potere dei lavoratori, nella vita politica e sociale.
Fu, via via che tale azione critica si andava sviluppando, rispetto alla Unione Sovietica degli anni ‘ 80 del secolo scorso, sempre più chiaro che si trattava di un movimento ” radicale “, che ne metteva in discussione i cardini della sua esistenza.
Come succede spesso, nel corso della storia, il limite principale dei movimenti ” riformatori ” consiste nel non saper indicare l’alternativa rispetto alla realtà criticata.
Indubbiamente, l’Unione Sovietica della metà degli anni ’80 del secolo scorso, viveva un momento difficile della propria storia, che richiedeva un perfezionamento del suo funzionamento, incanalando le forze del ” cambiamento ” verso un superiore e più avanzato livello di equilibri socioeconomici ed istituzionali.
Si trattava, certo, di ricercare e combattere le cause della relativa ” stagnazione economica ” che pervadeva il Paese, attraverso una rinnovata rivoluzione tecnologica, in grado di utilizzare I livelli più avanzati di automazione, applicata ai processi produttivi, al fine di raggiungere più elevati tassi di produttività ed efficienza, nella combinazione dei fattori produttivi.
Si trattava, certo, di ricercare diversi e più efficaci livelli di rapporto politico, nell’esercizio del potere politico, fra governo centrale e le diverse Repubbliche costitutive dell’Unione.
Così come, sul piano sociale, non banale sarebbe stata una seria opera di ricerca ed applicazione di un più coerente ed esteso potere decisionale, agli organi del potere operaio e popolare.
Ma, nulla di tutto ciò era compreso nel progetto gorbacioviano, che, dopo aver sollevato questioni non banali, relativamente al funzionamento dell’Unione Sovietica, privo di un punto solido, di tipo analitico e propositivo, lasciò, ben presto, il movimento che prese il nome di ” perestroika “, in mano alle forze reazionarie interne ed internazionali, che puntavano, sostanzialmente alla distruzione dei capisaldi di funzionamento di un solido ed efficiente Stato socialista.
Così, si giunse all’anno 1991, quando un Referendum, svoltosi nel mese di marzo, dimostrò che, la stragrande maggioranza dei popoli sovietici ( 73 %), desiderava il mantenimento, nel rinnovamento, della Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche ( URSS ).
Ma le forze che puntavano alla distruzione della stessa, avevano già preso il sopravvento nei gangli vitali dello Stato e della società cosicché, si giunse, dopo il fallimento del tentativo, nel mese di agosto, di una parte degli apparati statali, di porre un freno ai processi distruttivi in corso, alla finale scelta di sciogliere l’URSS, plasticamente rappresentata dall’immagine di Boris Eltsin che punta il dito, con fare minaccioso, contro Gorbaciov, come atto finale di una tragedia, di cui quest’ultimo fu, nello stesso tempo, evocatore, vittima e carnefice.
Questo è il giudizio storico che porta con sé la morte di Gorbaciov, al cospetto dei popoli del suo Paese e dell’umanità intera.
Un’ immane tragedia che, il venir meno della Unione Sovietica, provocò per la classe operaia, per i lavoratori e lavoratrici e per tutti gli sfruttati ed oppressi dal capitalismo e dall’imperialismo, per l’umanita intera, che, ancor oggi, ne porta i segni, nella propria condizione di esistenza sofferente.
Non si realizzarono, dopo il biennio 1989/91, le profezie evocate da Francis Fukuyama, che scrisse un libro, ” La fine della storia “, in cui si preconizzava l’ eterno e stabile trionfo del capitalismo e dell’imperialismo.
Dopo gli anni durissimi che seguirono la sconfitta subìta dal socialismo in Europa, dopo gli sforzi immani di Cuba Socialista e gli altri Paesi che non rinunciarono al socialismo, a partire dalla Repubblica Popolare Cinese, che seppe, invece, rilanciare il socialismo rinnovandolo, fino a diventare la grande potenza politica, economica e sociale che oggi è, punto di riferimento per l’umanità intera, nel 1998, in un grande Paese dell’America Latina, il Venezuela, la vittoria elettorale di Hugo Chavez, che segnò l’avvio del processo di rivoluzione bolivariana, per il socialismo del XXI Secolo, fu la migliore risposta alle nefaste previsioni ed auspici di Francis Fukuyama e di tutti i gazzettieri del capitalismo e dell’imperialismo internazionale.
Ma, questa, è un’altra storia, quella di una lotta del movimento operaio e comunista internazionale e della volontà dei popoli di tutto il mondo, che non si ferma, dinnanzi alle pur immani e dolorose sconfitte, ma che riprende, con rinnovato slancio, facendo un bilancio delle sconfitte del passato, per proiettarsi verso le vittorie del futuro.
” Ben scavato, vecchia talpa… ” come disse Karl Marx !!!