Compagne russe straordinarie combattenti

Valutando le leggi sovietiche dirette all’emancipazione delle donne V.I. Lenin ebbe a dire “…Nessuno Stato, nessuna legislazione democratica ha fatto per la donna neppure la metà di quello che il potere sovietico ha fatto fin dai primi mesi della sua esistenza …. abbiamo attuato nel campo legislativo tutto quello che si chiedeva per mettere la donna su un piede di eguaglianza e possiamo a buon diritto esserne fieri. Oggi nella Russia sovietica la condizione della donna può dirsi ideale se la si paragona a quella degli stati più avanzati”

Nikolay Cernyscevskij scrittore e rivoluzionario russo scrisse: “Di quale intelletto sicuro, forte, perspicace è dotata la donna nella natura! E questo intelletto rimane inutile per la società, essa lo soffoca, e la storia dell’umanità procederebbe dieci volte più rapidamente, se questo intelletto non fosse respinto e ucciso, ma operasse”.

  1. Ma le compagne russe sono state anche straordinarie combattenti.

Le donne pilota sono state  senza dubbio le più famose. Marina Raskova  pioniera dell’aviazione russa, ottenne da Stalin il permesso di organizzare le prime unità femminili da combattimento. La Raskova, che aveva una valida preparazione tecnica ma pochi collaboratoURSS donne pilotari altrettanto esperti, si sforzò di trovare donne che avessero già esperienza di volo: qualcuna ce n’era grazie al Komsomol, organizzazione giovanile del partito, che fra le tante attività aveva insegnato il pilotaggio a molti giovani sovietici. Nacquero così le famose Streghe della Notte, unità di disturbo che volavano su piccoli biplani PO-2. Si trattava di aerei di legno il cui ruolo era stato quello di addestratori. Recuperati alla guerra, erano senz’altro robusti ma assai poco performanti.
La loro lentezza paradossalmente era un vantaggio perché i caccia dell’Asse avevano difficoltà ad attaccarli: se li avessero presi accuratamente di mira sarebbero scesi sotto la velocità di stallo.
Marina Raskova morì in un incidente ma molte delle sue allieve giunsero ad accumulare una quantità impressionante di missioni di bombardamento. Il primo teatro di guerra fu quello della penisola di Taman (a est della Crimea, dall’altro lato dello stretto di Kerch che congiunge il Mar d’Azov al Mar Nero). Il loro ruolo era fondamentalmente di disturbo perché il carico di bombe era assai limitato. Partivano da campi molto rudimentali a ridosso delle prime linee e compivano anche diverse missioni in una sola notte, cercando di sfuggire ai riflettori e alla contraerea con diverse ingegnose tattiche di pattuglia (ad esempio: un aereo che cerca di colpire i riflettori e si fa vedere, mentre un altro cala sul bersaglio a motore spento).

Altre donne pilotarono dei bombardieri più pesanti (PE-2) e ci furono pure le donne pilota da caccia. Sembra che il 13 settembre 1942 sia stato il giorno del primo abbattimento da parte di una donna, quando Lidya Litvyak ebbe la meglio su un asso tedesco presso Stalingrado (il poveretto non credette di esser stato abbattuto da una donna fino a che lei stessa gli descrisse com’era andato il combattimento). La Litvyak volava in un reparto di uomini assieme a poche altre donne; pilotava uno Yak-1, aereo piuttosto rudimentale, che soffriva spesso per la costruzione effettuata con materiali scadenti o imprecisione nell’assemblaggio. Nell’agosto 1943 Lidya Litvyak venne abbattuta dopo aver conseguito 11 vittorie contro gli aerei tedeschi (più un pallone aerostatico). Per conferirle la decorazione di Eroe dell’Unione Sovietica il partito voleva conferma che fosse morta e non finita in prigionia. Facendo uso di testimonianze venne trovato il suo luogo di sepoltura (ai tempi di Gorbachev) ma non venne esumata. Pertanto rimane il dubbio (secondo altre fonti) che sia stata fatta prigioniera dai Tedeschi o che sia sopravvissuta in qualche modo alla guerra.

Le donne con competenze di macchinari e veicoli si trovarono spesso a guidare automezzi nelle forze armate. Dal momento che le forze corazzate mancavano di personale addestrato, le donne si trovarono presto anche alla guida dei carri armati. Irina Levchenko, passò da un ospedale per bambini a un’unità corazzata, dove le sue mansioni non prevedevano il combattimento. Respinte le sue richieste di passare alle truppe combattenti, persuase l’ufficiale che l’aveva rifiutata scoppiando a piangere e implorandolo. Questi allora acconsentì e fece in modo che la Levchenko ricevesse il certificato di idoneità fisica che avrebbe dovuto esserle rifiutato in quanto la donna, che aveva già ricevuto la prima di numerose ferite di guerra, era invalida. La Levchenko morì a soli 48 anni, dopo la fine della guerra; scrisse però delle sue esperienze.

Oktyabrskaya Mariya Vasil’yevna vendette tutto quello che aveva alla notizia della morte del marito sul fronte. Con il suo denaro e le donazioni che raccolse, raggranellò il necessario per finanziare la costruzione di un carro armato e chiese di poterlo guidare. Nonostante fosse una donna di mezz’età, e di piccola statura, le fu concesso. Se la storia sembra un’invenzione di propaganda, considerate il fatto che il marito era un ufficiale politico e lo stesso nome di questa eroina era stato cambiato in onore alla rivoluzione di ottobre. Vista inizialmente con sospetto dai giovani carristi la Vasil’yevna riuscì a farsi onore in diverse battaglie. Nel gennaio 1944, uscendo dalla protezione del suo T34 per riparare un cingolo danneggiato dalle armi anticarro nemiche, venne ferita a morte da un’esplosione.

Far parte del personale medico sembrerebbe una buona scelta per rimanere fuori dalle peggiori situazioni della guerra, ma le cose sono molto diverse per gli infermieri sul campo di battaglia, che devono recuperare i feriti (e le loro armi) senza aspettare il termine del combattimento. Molte donne in questa mansione ebbero i primi scontri a fuoco per salvare le vite dei feriti, e una volta imbracciate le armi non le hanno più lasciate, unendo ai compiti sanitari quelli di combattimento, o passando direttamente nella fanteria. Moltissime di queste donne sono morte perché la fanteria scompariva a ritmi impressionanti nel tritacarne della guerra.  Mariya Borovichenko, sergente medico ed esploratrice, orfana sedicenne  nel 1941 si segnalò per le audaci ricognizioni in territorio nemico e la cattura di soldati tedeschi. Nel 1943, qualche mese dopo aver perso il fidanzato ucciso a Stalingrado, cadde lei stessa nella battaglia di Kursk. Il suo generale scrisse un libro su di lei, e dal libro venne tratto il film Non esistono militi ignoti.

Se combattere nella fanteria è ruolo brutale e mortifero, le numerose donne entrate nelle file partigiane hanno spesso avuto la fine più tragica di tutte. I partigiani russi sono nati a volte spontaneamente, a volte i gruppi sono stati organizzati con l’invio di agenti da parte dei comandi, talvolta sono nati da nuclei di soldati sconfitti nelle prime battaglie: travolti dall’avanzata tedesca, si erano dati alla macchia per organizzare in un secondo tempo la resistenza. Riforniti dall’aria e a volte in contatto con i comandi per mezzo di potenti apparecchi trasmittenti, i partigiani riuscirono a mantenere un collegamento per quanto minimo tra il governo e la popolazione delle zone occupate, a disgregare l’economia di guerra tedesca, a sabotare le importantissime linee ferroviarie (anello debole della logistia germanica), e infine a raccogliere importanti informazioni. Le donne sono state accolte volentieri e impiegate in questo tipo di ruoli speciali, assegnate alle missioni d’infiltrazione più rischiose, paracadutate  dietro le linee nemiche per organizzare la resistenza. Avendo maggiore possibilità di muoversi ed essendo meno sospettate rispetto ai maschi, godevano di un indubbio vantaggio in questo compito. A volte entravano al servizio dei tedeschi come cuoche, o diventavano le amanti degli ufficiali per raccogliere informazioni e anche per ucciderli a tradimento, quando al posto di un incontro galante il tedesco si trovava alle prese con i partigiani che lo uccidevano all’arma bianca. Inevitabilmente seguiva la reazione di collaborazionisti, SS e polizia militare, e queste operazioni ad alto rischio finivano nella dispersione dell’unità partigiana; le donne combattenti hanno conosciuto torture, imprigionamenti senza speranza, impiccagioni e fucilazioni. Nelle storie di donne decorate come Eroe dell’Unione Sovietica praticamente tutti i nuclei partigiani sono stati debellati con la morte della maggior parte dei costituenti, quando non di tutti.

Da menzionare anche le tiratrici scelte, uno dei pochi ruoli in cui le donne erano apprezzate per la pazienza e la tenacia che sapevano infondere in un lavoro difficile e solitario. Le tiratrici scelte russe hanno, cumulativamente, eliminato l’equivalente di una divisione tedesca.

Un dettaglio importante, che ci fa capire quanto la massiccia partecipazione al conflitto da parte della donna russa fosse dovuta principalmente alle gravissime condizioni in cui si era venuto a trovare il paese: diverse di queste eroine non credevano  che per le donne fosse appropriato occuparsi di cose militari. Per esempio: Raisa Aronova (pilota delle “Streghe della Notte”) non riteneva che il servizio militare fosse adatto alle donne salvo la situazione eccezionale in cui lei stessa si era venuta a trovare; era particolarmente lieta di trovarsi in un’unità completamente composta da donne dove “lo spirito femminile regnava supremo,” ovvero vi erano ordine e decenza. Marina Chechneva, autrice di diversi libri sulla guerra e anche lei pilota, dichiarò che sebbene le sue compagne d’armi avessero superato spesso gli uomini per coraggio e abilità, la guerra non dovrebbe essere affare da donne, salvo casi eccezionali.

Le motivazioni che spinsero queste combattenti sono legate soprattutto al fatto che la guerra stava travolgendo il loro paese e arrivando fino al focolare domestico,  una guerra di annientamento dove non c’era scampo o rispetto per nessuno. Sempre per lo stesso motivo le donne combattenti venivano da tutte le estrazioni sociali. Alcune avevano ricoperto cariche nel Partito comunista e di conseguenza spesso ottennero dei comandi o presero il ruolo di ufficiale politico.

Alcune delle donne abbracciarono la vendetta quasi come un fatto personale: Tamara Konstantinova, pilota dei bombardieri tattici Il-2, prese le armi quando perse il marito, anche lui pilota, abbattuto sul fronte di Leningrado. La Konstantinova lasciò a sua madre la figlia di due anni e si adattò a tutte le mansioni (compreso guidare camion nelle colonne logistiche) fino a che riuscì a coronare il proposito di sostituire il marito come pilota su un aereo da guerra. Perennemente in aria, diceva di non concedersi riposo perché “combatteva per due”.

Alcune donne sono diventate potenti ispiratrici e leader sul campo di battaglia, anche nel ruolo di ufficiali politici.

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