Storia di donne nella Resistenza: una partigiana brasiliana Marília Guimarães

 

Traduzione di Marica Guazzora

da http://www.bbc.com/mundo/noticias-america-latina

Sequestrò un aereo di passeggeri per andare a Cuba e salvare dalla dittatura del suo paese i suoi figli di 2 e 3 anni.

A soli 22 anni la brasiliana Marília Guimarães il 1 gennaio del 1970 prese una pericolosa decisione : andare a Montevideo per partecipare con suoi due figli al sequestro di un aereo pieno di passeggeri. Il suo obiettivo era dirottare l’aereo per Cuba. Lì avrebbe chiesto asilo  al governo di Fidel Castro per scappare dal regime militare imposto in Brasile dal 1964 attraverso un sanguinoso colpo di stato che depose João Goulart,  il primo presidente di sinistra del paese. Marcelo y Eduardo, i suoi bambini avevano 2 e 3 anni e credevano che si trattasse di un viaggio per fare visita ad un amico del padre.

In realtà il padre era in prigione e Marilia non aveva intenzione di ritornare a breve in Brasile.

Ma come fece questa giovane donna ad essere coinvolta in incidente che fece il giro del mondo?

Era un’epoca convulsa

Il colpo di stato del 1964 dette inizio a due decenni di dura repressione militare. Ma alcuni brasiliani avevano incominciato ad organizzarsi per difendersi.Il dirottamento ebbe una risonanza mondiale. “Eravamo arrivati alla conclusione che l’unica maniera di farla finita con la dittatura era attraverso la lotta armata”. Occorre ricordare che era un’epoca in cui tutto il mondo era in convulsione: Parigi, Londra, America Latina, Africa…. Era tempo di liberazione”. Marília era un’adolescente quando i militari presero il potere con l’aiuto degli Stati Uniti. Ma era stata una fervente sostenitrice di Goulart, così, poco dopo la sua caduta, si unì a un piccolo gruppo di resistenza armata deciso a espellere l’esercito dal governo.

“In un primo momento, sono stata coinvolta nella logistica. Per esempio, quando c’era un assalto a una banca o se avevamo bisogno di rubare una macchina per una certa azione, un compagno ed io andavamo in di ricognizione, per calcolare quanto tempo  ci sarebbe voluto per arrivarci e tornare indietro ” ha ricordato.

Alla fine degli anni ’60, Marilia viveva a Rio de Janeiro con il marito, uno dei leader del gruppo guerrigliero (Vanguardia Popular Revolucionaria VPR).

Marilia,  divideva il suo tempo tra la cura dei figli e il lavoro alla scuola locale, che in realtà aveva una duplice funzione. “La scuola era  un luogo di copertura  in cui i compagni venivano a prendere  libri e opuscoli stampati. C’erano sempre molti genitori e studenti che andavano e venivano,quindi non c’erano sospetti. “Era complicato, ma quando si è giovani si ha un sacco di energia.”

Arrestata e interrogata

All’inizio del 1969, la polizia arrestò uno dei loro compagni e sequestrò una piccola stampante usata dal gruppo.Gli agenti seguirono una pista che li portò da Marilia. Fu arrestata per essere interrogata, ma, nonostante  tre giorni di interrogatori,  la polizia non fu in grado di collegarla ai guerriglieri, quindi venne rilasciata. Ma non era più estranea alle autorità. Venne arrestato suo marito e lei e i sui figli dovettero fuggire. Varcarono il confine con l’Uruguay, non potendo usare i passaporti brasiliani. Dovevano raggiungere Montevideo, la capitale, per raggiungere altri  5 sequestratori. Uno di questi era il primo marito di Dilma Rousseff, che in seguito sarebbe diventata la prima donna  presidente del Brasile.Il 31 dicembre, l’aeroporto nella capitale uruguaiana era pieno di viaggiatori di Capodanno.”Eduardo aveva solo 2 anni e Marcelo ne aveva 3. Correvano in giro per il terminal, quindi una delle guardie doveva aiutarmi a prendermi cura di loro mentre sistemavo il bagaglio”, ricorda Marilia.”E’ stato divertente perché i bambini non smettevano di correre”.Era venuto il momento di salire a bordo. “Mi ero seduta  con i bambini e gli altri compagni si erano  avvicinati ai nostri posti,  ho dato  loro le armi, le avevo  indossate sotto il mio vestito, legato strettamente alla vita con un cinturino, ero molto magra e in quei giorni indossavo abiti molto larghi”. I bimbi erano molto felici di salire sull’aereo.

L’aereo era troppo piccolo per effettuare un volo diretto all’Avana, quindi doveva atterrare ogni due ore. Una volta in volo, i dirottatori  dissero all’equipaggio e ai 60 passeggeri che la nuova destinazione era Cuba.

“All’inizio i passeggeri  erano molto nervosi perché non sapevano cosa sarebbe successo, ma uno dei compagni prese l’interfono e disse loro che saremmo andati a Cuba per salvare Marcelo e Eduardo e che lo facevamo  per denunciare le torture del dittatore. Dicemmo  loro di mantenere la calma e che nessuno si sarebbe fatto male a condizione che si fossero comportati bene. Una donna di San Paolo era molto aggressiva e mi insultò pesantemente per come esponevo i miei bambini a questo pericolo”.

Un viaggio complicato

Nonostante avessero preso il controllo dell’aereo, i guerriglieri non potevano costringere il pilota a dirigersi verso Cuba immediatamente.L’aereo dirottato era piccolo e non poteva trasportare il carburante necessario per attraversare il Sud America e i Caraibi e arrivare a  L’Avana.Il pilota spiegò che doveva atterrare ogni due ore per riempire il serbatoio.La prima tappa fu Buenos Aires. La notizia del dirottamento già  titolava i  giornali internazionali e, nonostante la riluttanza delle autorità argentine, l’aereo venne autorizzato a toccare terra per fare rifornimento e ripartire.In Cile non ebbero problemi, già governava  Salvador Allende, che aveva un’opinione decisamente favorevole dei guerriglieri brasiliani.Ma la prossima tappa, il Perù,  fu più complicata.”Quella mattina, l’aeroporto di Lima era pieno di giornalisti e persone  curiose venute a vedere l’aereo, e le autorità avevano deciso di chiudere le strutture e mandare via la gente.””Li stavamo guardando dai finestrini dell’aereo , il presidente peruviano mandò il suo ministro degli esteri per cercare di convincermi scendere con i miei figli e mi offrirono asilo politico”, ricorda Marilia. “Il pilota scese in pista per parlare con lui e tornò dicendo che mi avrebbero dato quello che volevo ma dissi di no: “Non mi muoverò, non lascerò i miei compagni’. “Quello che volevano era far uscire me e i miei figli per poter poi intervenire sull’aereo”.”Quando il governo peruviano vide che non avrei mai accettato la sua offerta, l’esercito arrivò con i carri armati e l’aereo venne circondato. La  situazione era diventata molto tesa”. Dopo una lunga attesa, l’aereo venne autorizzato a decollare e partì per Panama.  Il dirottamento stava diventando un mal di testa politico per i paesi limitrofi dell’America Latina.Non simpatizzavano con la causa dei rapitori ma, allo stesso tempo, non volevano assumersi la responsabilità di un attacco potenzialmente disastroso.Mentre stavano facendo rifornimento a Panama, il capitano scese a parlare con le autorità e gli venne offerta  un’arma,  per portarla a bordo in segreto e usarla per uccidere i sequestratori, cosa che lui rifiutò.Sebbene avessero avuto problemi con un motore difettoso, l’aereo  decollò di nuovo, questa volta, verso Cuba.

Quattro giorni di viaggio

“L’equipaggio aveva cibo e bevande che la compagnia aerea aveva inviato per loro e per i passeggeri, ma non mangiammo né bevemmo nulla  per la preoccupazione che potessero  drogarci”.”Avevo portato molte  lattine di latte in polvere per i bambini perché sapevo che a Cuba ci sarebbe stata una carenza, e molta acqua in bottiglia”.Marília cantava con loro, suonava con loro e raccontava loro storie per intrattenerli.”A volte li lasciavamo correre su e giù per  stancali.” Quattro giorni dopo, il 4 gennaio 1970, arrivarono finalmente a L’Avana. I cubani non sapevano come reagire e cercarono  di persuadere Marília e gli altri guerriglieri ad andare in Messico. Alla fine decisero di lasciarli rimanere a Cuba. Marília si stabilì nella capitale, dove i bambini andarono a scuola. Suo marito, il comandante della guerriglia, si incontrò lì con loro più tardi.Nel novembre 1990 furono in grado di ritornare in Brasile, perché la democrazia era stata ripristinata.

“Le cose sono diverse oggi, ma in quel momento non avevamo altre opzioni, e se fossi in quella stessa situazione oggi, con i miei figli, sì, lo farei di nuovo”, ha detto Marília, che ora ha 70 anni e vive   in Brasile.

mari

 

 

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